La solita minestra riscaldata? Assolutamente no
Inizialmente pensato come seguito di Dead Island, Dying Light è stato ben presto classificato dagli sviluppatori polacchi di Techland come un progetto a sè stante: le numerose modifiche strutturali e narrative, infatti, avevano reso il titolo troppo diverso e incompatibile con il predecessore, facendo nascere così una nuova IP. E per fortuna, aggiungiamo noi: dopo poco più di un anno dall’entrata nella next-gen, Dying Light si fa spazio prepotentemente tra i migliori titoli apparsi finora sulle console di nuova generazione, rappresentando a tutti gli effetti il gioco che non ti aspetti, la sorpresa di inizio 2015.
Benvenuto ad Harran
Una missione spacciata per passeggiata, un atterraggio finito male, un incontro troppo ravvicinato con un “mordicarne”: così inizia la nostra sfortunata avventura nei panni di Kyle Crane, agente speciale americano al servizio del GRE (Global Relief Effort), un ente che si occupa dello sviluppo di una cura per la terribile epidemia che ha colpito la città in cui siamo stati inviati, Harran. Dopo che la maggior parte degli abitanti è stata contagiata dal terribile virus, trasformandosi in zombie, la città è stata subito isolata da spesse mura perimetrali, per evitare una diffusione su scala globale dell’agente patogeno. Un’apocalisse “a misura d’uomo” potremmo chiamarla, così come era successo in Dead Island, dove a essere colpita dal virus era stata solo l’isola caraibica di Banoi. E’ proprio per questo motivo che tra i vivi resta accesa una fiamma di speranza, la speranza di poter fuggire da Harran e poter tornare quindi a una vita normale. In tutto questo, la nostra missione rimane sempre la stessa: recuperare un file contenente una cura sperimentale incompleta che, se pubblicata allo stato attuale, creerebbe solo un numero ancora più alto di vittime. Non può quindi mancare il villain di turno, Kadir Suleiman, leader politico salito al potere grazie alla crisi sanitaria scatenata dal virus, che minaccia la pubblicazione del file per motivi che…beh non starò qui a svelarvi.
Sebbene le premesse tutt’altro che originali, una partenza piuttosto lenta, e un finale annunciato e molto simile a quello di un titolo molto recente (che è stato assai criticato); l’ambientazione e il carattere dei personaggi che ci circondano riescono subito a farci immergere nella realtà devastata di Harran, dove ogni orologio sembra essersi fermato prima dello scatenarsi dell’epidemia. Ed è proprio questo forse uno dei punti centrali per cui il lavoro degli sviluppatori è decisamente encomiabile: l’attenzione, la cura posta nella rappresentazione di una realtà singolare e surreale ma allo stesso tempo realistica.
Impara a correre…o muori
E fino a qui, sembrerebbe di star giocando al solito survival horror zombesco trito e ritrito. In casa Techland, però, sono maestri del genere, ed ecco come hanno risolto il problema:introducendo il parkour. Imparare a sfruttare a nostro vantaggio le numerose abilità acrobatiche di Crane sarà un elemento fondamentale per sfuggire alla morte in condizioni di forte inferiorità numerica o semplicemente per spostarsi più velocemente all”interno di Harran. Ed il tutto, una volta appreso e compreso, è dannatamente gratificante: dimenticate lo stile di arrampicata di Arno in Assassin’s Creed o di Delsin in Second Son, il parkour, in Dying Light, richiede un attenzione costante da parte del giocatore, che dovrà calibrare con attenzione ogni salto non dando niente per scontato, in quanto basterà un solo passo falso a farci crollare al suolo, in balia dei numerosi mordicarne presenti a terra. Sebbene però scorrazzare e arrampicarsi tra gli edifici della città, lasciandosi anche il tempo di esplorare qualche appartamento alla ricerca di risorse, sia divertente nelle prime ore di gioco, alla lunga la mancanza di un sistema di spostamento rapido tra le varie zone della mappa si fa sentire, un’ assenza probabilmente giustificata dalla volontà di Techland di spingere il giocatore a un’esplorazione costante durante la giornata in modo da essere pronti per affrontare la notte.
Cala la notte
Se durante il giorno infatti si ha tutto sommato la sensazione di riuscire a tener testa a qualsiasi situazione (basta saltare su un tetto e la si scampa), tutto cambia appena il sole cala, lasciando spazio alle tenebre, e al terrore. Avventurarsi per il mondo di gioco durante la notte è un’esperienza che centra in pieno il significato più intimo di survival horror: messa in discussione costante delle proprie possibilità di sopravvivenza. Harran, nel suo buio impenetrabile, diventa la culla perfetta per i Notturni, creature infette modificate che godono di maggior velocità, maggiore aggressività e letalità dei comuni infetti; evitare il loro raggio d’azione sarà obbligatorio per poter pensare di passare la nottata indenni. Oltre a loro, però, le strade rimangono comunque affollate di zombie comuni, altrettanto pericolosi in quanto attratti dalla luce della nostra torcia, che dovremo saper usare con intelligenza e solo in condizioni di vera necessità, procedendo a tentoni per il resto del tempo, aiutati dal nostro “senso di sopravvivenza”, molto simile all’udito di Joel in The Last of Us, che ci permette di scansionare l’area a noi circostante, individuando però solo i Notturni.
Un’esperienza davvero agghiacciante e ansiogena, che, se da un lato ci garantisce punti esperienza aggiuntivi in caso riuscissimo a sopravvivere, dall’altro ci pone in una situazione di grande stress, in cui saremo costretti perlopiù ad agire di soppiatto, pronti a correre qualora venissimo scoperti e inseguiti dai micidiali Notturni, e pronti a morire (e quindi perdere numerosi punti esperienza) qualora fallissimo nel nostro tentativo di fuga. Affrontare la notte, però, non è obbligatorio (fatta eccezione per alcune missioni): sono infatti presenti, sparsi per la mappa di gioco, dei rifugi che, dopo essere stati liberati dagli zombie, ci forniranno protezione completa da qualsiasi minaccia, e ci permetteranno anche di dormire, evitando qualsiasi tipo di avventura notturna che, per quanto terrificante, rappresenta uno degli elementi cardine di Dying Light (il che vuol dire: fatevi un paio di nottate “all’aperto”, meritano).
Un gameplay solido e soddisfacente
Nonostante Crane sia un maestro della fuga, spesso e volentieri capita di dover essere costretti a menar le mani e con l’abbondanza di armi da taglio, armi da lancio, armi da mischia e da fuoco (un po’ meno abbondanti in effetti), c’è solo l’imbarazzo della scelta. In questo frangente, Techland ha riproposto, migliorandolo, il sistema già utilizzato per Dead Island, che prevedeva un sistema di usura delle armi, riparabili solo per un certo numero di volte per poi diventare inutilizzabili, un sistema di crafting migliorato e semplificato, che permette, attraverso dei Progetti, di costruire armi modificate più potenti e resistenti. I combattimenti con i mordicarne sono davvero divertenti, soddisfacenti e ben realizzati, con i macilenti corpi che reagiscono realisticamente a tagli e contusioni, ma dimostrando forse un grado di resistenza ai colpi, soprattutto nelle fasi iniziali del gioco, un po’ troppo alto per essere dei corpi in decomposizione. Le possibilità d’ingaggio sono numerose e, sebbene qualcuna di esse sia leggermente sbilanciata in quanto a effetti nei confronti delle vittime (troncare le gambe a un avversario è decisamente troppo facile e nel caso dei nemici umani persino letale), si possono imbastire numerose strategie per colmare lo svantaggio numerico che Crane ha nei confronti dei non-morti, che godono di una IA di tutto rispetto. Diverso il discorso per gli avversari umani che, paradossalmente, godono di possibilità che a Crane sono inspiegabilmente negate (come la possibilità di parare i colpi in arrivo, che noi possiamo invece solo schivare) e di una IA di molto inferiore a quella dei colleghi zombie.
La componente ruolisitica, dicevamo, prevede inoltre lo sviluppo del personaggio secondo tre alberi di abilità differenti: Sopravvivenza, legato al completamento delle missioni, sbloccherà delle abilità fondamentali per la sopravvivenza del nostro protagonista, come la possibilità di trasportare più oggetti nell’inventario o raddoppiare gli oggetti creati attraverso il crafting; Agilità, migliorabile utilizzando l’ampio parco di movenze di Crane, ci garantirà un miglioramento costante delle sue abilità acrobatiche, permettendoci di scavalcare i nemici con un salto o di stordirli con un calcio; e infine Forza, albero che crescerà attraverso i nostri combattimenti, e che riguarderà potenziamenti molto utili appunto per il combattimento. Sebbene la curva dell’esperienza sia ben bilanciata, c’è da dire che, con il procedere dello sviluppo del personaggio, cala sensibilmente la sensazione di incertezza e minaccia che la visione di un gruppo di zombie ci provocava durante le prime ore ad Harran: non arriveremo mai a sentirci invincibili (l’introduzione da parte degli sviluppatori di zombie potenziati aiuta in questo senso), ma è altresì vero che giunti a un certo livello di abilità il livello di sfida subisce un calo, non drastico, ma percepibile.
Un uomo sempre impegnato
Colpisce ancora una volta la vasta gamma di missioni e attività secondarie presenti nel gioco, tanto che sarà davvero difficile annoiarsi durante la nostra permanenza ad Harran. Nella nostra run, durata all’incirca una ventina di ore, ci siamo dedicati quasi esclusivamente alla main quest, con l’eccezione di qualche side-quest per comprenderne in linea di massima la qualità. Pare quindi evidente che, per chi decidesse di permanere nella città anche dopo i capitoli di coda, il tempo necessario al completamento totale del titolo può tranquillamente raddoppiare se non triplicare. Le side-quest, alle quali si affiancano sfide a tempo, missioni coop e una interessante modalità in cui impersoneremo un infetto (le funzionalità online però ne rendono impossibile una prova profonda e completa), si configurano spesso come delle fetch-quest in stile MMO che ci permetteranno però, nella loro ripetitività, di venire a conoscenza delle vite di altri sopravvissuti, di immergerci ancora di più nel clima di sofferenza e alienazione in cui gli abitanti di Harran vivono. Ciò che davvero non convince, all’interno del processo di svolgimento delle mansioni, è la totale mancanza di carisma del protagonista, Crane, marionetta in balia di numerosi burattinai, con un carattere che, soprattutto nelle battute finali, ha dell’odioso.
Tecnicamente parlando…
Prima pensato per console old-gen, poi ripensato per la nuova generazione, Dying Light è un titolo che dice la sua, non facendo gridare al miracolo, ma difendendosi bene grazie a un sistema di illuminazione “d’impatto” e una cura nei dettagli e nel level design da parte di Techland decisamente encomiabile. La città di Harran è ben realizzata ed è un piacere esplorarla nonostante un certo riciclo degli assets (indispensabile per un gioco del genere) che a un certo punto diventa un po’ evidente. Altalenante la realizzazione dei modelli degli NPC, perlopiù espressivi e credibili, ma la presenza di volti molto “simili” anche all’interno della main-quest stona un po’ con la qualità generale della realizzazione tecnica. Buona anche la situazione bug,esclusa qualche comprensibile compenetrazione poligonale, non abbiamo trovato problemi rilevanti o significanti, cosa che in un titolo così ampio non è poi cosi facile da ottenere. Povera la localizzazione italiana, con un doppiaggio non al livello di quello originale e che trova la sua tomba con l’inevitabile riciclo di parecchie voci…ma in fondo ci siamo abituati no?
Dying Light è la prova ecclatante che nel panorama videoludico c'è e ci sarà sempre spazio per gli zombie. Accostando a meccaniche collaudate l'innovazione del parkour e una terrificante modalità notturna, i ragazzi di Techland hanno dimostrato di aver fatto tesoro dell'esperienza Dead Island per realizzare un titolo maturo e completo. Un survival horror a stampo ruolistico di pregevole fattura che, nonostante qualche piccola sbavatura in quanto a trama e sviluppo della figura del protagonista, non delude per quanto riguarda il divertimento, garantito da un gameplay solido e completo, e strizza l'occhio agli amanti del genere, mettendo loro a disposizione un'intera città come "parco-giochi" in cui mettere alla prova le proprie abilità di sopravvivenza. Un'ottima sorpresa per aprire in bellezza un 2015 videoludico intensissimo.
- La modalità notturna è terrificante...davvero
- Arrampicarsi tra i palazzi di Harran massacrando gli zombie è divertente e appagante
- C'è una marea di cose da fare
- IA dei nemici umani assolutamente da rivedere
- Trama e sviluppo del protagonista non troppo azzeccati
- Il finale