Benvenuti in questo speciale natalizio targato GameBack. Dal 1° al 24 dicembre, come se fosse una sorta di “calendario dell’avvento”, pubblicheremo ogni due giorni una puntata di questa piccola rubrica,  in cui ogni redattore di GameBack, a turno, parlerà del “videogioco che gli ha cambiato la vita” e ha acceso in lui la passione per l’arte videoludica.
Vi ricordiamo, inoltre, di lasciare un commento inerente all’articolo, in modo da poter partecipare al contest natalizio che stiamo organizzando sulla nostra pagina Facebook e la nostra stanza su Ludomedia (le regole del contest si trovano qui).

Oggi vorrei parlarvi di un gioco che ha lasciato in me un’impronta profonda, forse non molto visibile dal mio “di fuori” di tutti i giorni, ma comunque importante. Per molti aspetti.

Lo dirò subito: il videogioco che mi influenzò in questo modo non appartiene alla mia serie preferita. A quel tempo del mondo di Link, Zelda e Ganondorf conoscevo assai poco. A dirla tutta, in parte fu anche grazie al videogioco di cui vi parlerò oggi se ho messo piede ad Hyrule (anziché fuggire semplicemente da Termina e non fare più ritorno).

Non si tratta nemmeno del gioco al quale mi sento più legata dal punto di vista affettivo: in questo caso la palma del vincitore va senza dubbio a Pokémon Versione Cristallo, il primo gioco Nintendo tutto mio e il gioco al quale sono legati i miei ricordi più belli.

No: il gioco che impresse così singolarmente la sua immagine nel mio cuore di videogiocatrice non è stato nemmeno il mio primo gioco. A dire il vero non so con certezza quale sia stata la mia prima esperienza videoludica (eh, dai: perdonatemi, non avevo neanche due anni e mezzo!), ma ho deciso di dare simbolicamente questo titolo a Titanic per MSX2. Comunque sia no: non è nemmeno di Titanic che vi parlerò oggi.

Vi parlerò di un gioco straordinario, un gioco che mi ha fatto scoprire alcuni lati della mia identità nascosti a me stessa.

 

Indecisione

Ricordo ancora l’indecisione. L’indecisione che mi avvinse al momento di scegliere quale gioco portarmi a casa.

Era il lontano 2006. Piena estate. Caldo torrido. Mi trovavo in un negozio di videogiochi, al tempo ancora appartenente alla catena EB Games (forse qualcuno di voi se ne ricorderà). Ed ero a caccia. A caccia di videogiochi.

Al tempo avevo 15 anni, e, come molti quindicenni che si autofinanziano gli acquisti videoludici, ben pochi soldi su cui contare. Il mio territorio di caccia si limitava quindi al settore “usato”.

«Beh, a volte tra le copie usate si trovano delle vere e proprie gemme». Mai questa mia idea avrebbe rispecchiato di più la realtà dei fatti come quel fatidico 12 luglio 2006.

E per chi sta pensando: «Oh, ma questa si ricorda anche la data!!! :O LALILULELOL!», no, purtroppo non la ricordo: ho sparato a caso. Tanto per vedere che faccia avreste fatto.

Tra gli scaffali, proprio all’altezza dei miei occhi, ecco una copertina familiare. Al centro, una figura vestita d’una armatura metallica scintillante e robusta, di colore giallo e arancione (ok, forse non la scelta migliore dal punto di vista mimetico, ma… de gustibus!), il volto celato dietro ad un visore emanante una luce verde.

Davanti alla figura spiccavano due parole: METROID PRIME.

http://www.code-ami.fr/blog/wp-content/uploads/2010/07/Dossier-Game-Cube-metroid-prime-cover.jpg

Fonte immagine: code-ami.fr

«Ah, questo dev’essere il famoso Metroid per GameCube!».

Avevo letto dei commenti veramente entusiasti sulla Rivista Ufficiale Nintendo a proposito di quel gioco, ma a dire la verità… la maggior parte dei riferimenti a Metroid Prime li avevo “raccolti” dalla sezione dei trucchi e codici, dove moltissimi giocatori lanciavano alla redazione disperati segnali di SOS, bloccati nei meandri del gioco.

«Hmm, dev’essere un titolo tosto. Se così tanta gente s’è arenata, chissà se sarò capace di finirlo…».

Non che mi spaventasse la difficoltà. Semplicemente… avevo paura di ricorrere a delle guide per completarlo: non volevo chiedere aiuto a nessuno (non che la cosa sia cambiata: sono rimasta una testarda XD), dovevo farcela da sola. Altrimenti che divertimento c’era?

A fianco di Metroid, un’altra copertina a me nota: Super Smash Bros. Melee. Un gioco votato al multiplayer.

«Eh, ma sono figlia unica. E ho pochi amici appassionati di videogiochi…».

Rimasi lì a ponderare il mio acquisto per almeno 5 minuti. E poi decisi.

Decisi che avrei affrontato la paura di lasciare un gioco a metà.

 

Ma che diamine è successo qui?

Arrivata a casa, non ressi alla voglia di scoprire cosa si celava nel mondo di Metroid, e avviai il gioco pur avendo poco tempo a disposizione.

Solitamente, quando inizio un nuovo titolo cerco di ritagliarmi una buona fetta di tempo libero: detesto interrompere la “sospensione d’incredulità” che un videogioco di qualità riesce a darmi. Tuttavia, questa volta non potevo rimandare: cosa si celava nel mondo di Metroid?

“Segnale di SOS non identificato proveniente da una nave spaziale abbandonata in orbita intorno a Tallon IV”.

L’introduzione mi mise subito in guardia di una cosa: mi trovavo in un territorio a me sconosciuto.

E sì che conoscevo Star Wars a menadito!

(Un consiglio: interrompete la visione del filmato al minuto 3:00 e proseguite la lettura).

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=lFA6U419k60]

 

L’atmosfera era suggestiva e misteriosa insieme, epica e inneggiante al disastro imminente allo stesso tempo.

«Cosa sarà mai successo in quella fregata spaziale?».

Al mio arrivo, il silenzio.

Inquietante.

Superai le prime porte a scudi… E quasi finii nello spazio cosmico. La passerella d’ingresso era molto stretta e io troppo inesperta per “centrarla” in pieno. Ma anziché vedere la povera Samus Aran scivolare ingloriosamente oltre il bordo o essere fermata da un muro invisibile, un campo di forza si attivò per fermare la mia avanzata verso il nulla.

«Oh! Beh, di sicuro sanno come aiutare i giocatori alle prime armi senza perdere l’atmosfera! Bella idea!».

Varcai l’entrata.

Attraversai la camera di pressurizzazione. Poi delle altre porte ancora e, finalmente, la musica iniziò ad uscire in tutta la sua… angoscia?

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=agX208oK454]

 

Una specie di marcia funebre, che quasi pareva riecheggiare gli orrori che dovevano essere avvenuti a bordo di quella fregata spaziale.

Fiamme e fumo tutt’intorno, non un’anima viva.

«Cavolo, qui è successo davvero qualcosa di grosso».

E in effetti era davvero grosso quel cadavere di… qualunque creatura fosse. E ancora infilzata da una sua zampa, giaceva a terra un’altra carogna, quella di un Pirata Spaziale.

«Ah, sì: ne ho sentito parlare: sono i nemici, no?».

Un piccolo gruppetto di Parassiti, minuti (almeno rispetto al loro gigantesco cugino morto nella stessa stanza) insetti verdi, si stava intanto cibando dei resti del Pirata. «Poveraccio», pensai, e sparando un paio di colpi uccisi un Parassita, mettendo in fuga gli altri.

Poco più avanti, incontrai un altro Pirata. Ancora vivo. Scansionai anche lui con il mio Visore Scan. “Forma biologica: Pirata Spaziale. Stato>>Rilevati deboli segnali di vita. L’esoscheletro presenta diverse tracce di morsi”.

«Va bene, non è decisamente una minaccia, non gli farò niente».

Mi avvicinai lentamente al Pirata, osservandolo con curiosità mista a tristezza: chissà cosa aveva visto quel povero diavolo. Anche lui pareva studiarmi, pur essendo allo stremo.

Ma poi…

Poi alzò un braccio e mi sparò un colpo di laser dritto in faccia.

«Ma che?!».

Sobbalzando per il dolore, il Pirata sparò altri colpi, mancandomi del tutto.

«… Mi crede ancora una minaccia».

Al tempo non sapevo ancora nulla della storia di Samus, di come la sua famiglia fosse stata sterminata dai Pirati Spaziali e lei avesse deciso in seguito di dare la caccia a quegli assassini senza scrupoli.

“Tieni premuto L per bloccare il mirino su un nemico”.

Il tutorial mi richiamava al dovere.

Dovevo sbarazzarmi del Pirata.

Già prima di allora avevo sterminato senza darmi tanti pensieri interi squadroni di soldati, truppe d’assalto, zombie, alieni e mostruosità assortite. Ma mai avevo provato pietà per loro.

Freddamente, premetti il grilletto per bloccare il mirino. E feci fuoco.

Avevo ucciso il mio primo Pirata Spaziale.

Presto sarebbe diventato quasi un piacere per me sterminare quelle creature senza compassione, ma il primo impatto fu davvero singolare.

Non avevo mai pensato a cosa potesse provare un nemico in un videogioco, né avevo mai provato compassione per uno di loro.

 

Evacuate immediately!

Dopo aver eliminato la causa di tutto lo scompiglio causato sulla Fregata Spaziale Orpheon, mi trovai faccia a faccia con una delle mie più grandi paure videoludiche: un timer che correva inesorabilmente verso lo zero.

Ho sempre provato una grande antipatia verso le missioni a tempo. Forse perché adoro perdermi a guardare i dettagli, forse perché mi sento a disagio sotto pressione oppure perché, sotto sotto, detesto vedere il tempo che scorre per non ritornare mai più.

Proprio a causa di un timer avevo abbandonato, pochi mesi prima, The Legend of Zelda: Majora’s Mask: avere un orologio che costantemente mi ricordasse quanto poco tempo avessi a disposizione riusciva veramente a mettermi in agitazione, tanto da farmi quasi cadere in uno stato d’ansia.

E ora mi trovavo di nuovo in fuga contro il tempo.

“Nucleo del reattore prossimo all’esplosione. Evacuare immediatamente!”

«Oh cavolo».

La musica non aiutava di certo: a parte il ritmo frenetico, una serie di allarmi provenienti dalle apparecchiature a bordo della fregata mi ricordavano in continuazione quanto fosse immediata l’esplosione di tutta la struttura.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=7bsLl1t_KsY]

 

Pur smarrendo la strada un paio di volte a causa dell’agitazione, riuscii infine a fuggire dalla Fregata Orpheon.

Mentre mi dirigevo su Tallon IV, tuttavia, mi misi a pensare: «Mah, in effetti non è stato male… Forse anche i conti alla rovescia possono essere divertenti. Di certo sono emozionanti: mi sa che fra un poco farò un infarto!».

 

Un altro mondo

Atterrai infine sulla superficie di Tallon IV. E rimasi sorpresa dal brusco cambio del ritmo di gioco.

http://www.metroidmetal.com/images/wallpapers/MetroidMetal_TalOv_Where_It_All_Begins.jpg

Fonte immagine: metroidmetal.com

Una musica lenta e accogliente mi diede il benvenuto, mentre la pioggia scendeva lentamente dal cielo grigio del pianeta.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=QGLr_hf5b84]

 

«Bene, ci voleva un po’ di calma».

Mi fermai ad ascoltare il mondo intorno a me. E mentre ascoltavo, mi accorsi che alcune gocce di pioggia cadevano sul mio Braccio Cannone, rompendosi in mille schizzi.

«Wow, hanno addirittura inserito un effetto come questo? Che forte!».

Feci una pausa. «Hmm, mi chiedo se…». Alzai lo sguardo verso il cielo.

Delle altre gocce di pioggia caddero questa volta sul vetro esterno del mio casco. Prima una, poi un’altra e un’altra ancora, in modo irregolare.

Ero senza parole. Estasiata, contemplai quel tocco di classe.

Volsi quindi lo sguardo attorno, per cercare di capire dove andare. E scorsi una pozza d’acqua.

Un sorriso nacque al lato della mia bocca, e corsi a tuffarmi. Sott’acqua nuotava un gruppetto di pesci: senza pensarci due volte sparai qualche colpo in quella direzione, e accadde l’incredibile. I pesci si mossero per evitare i colpi.

«Fantastico!».

Metroid Prime era già, all’epoca, un titolo con qualche annetto sulle spalle. Ciò nonostante, graficamente si difendeva piuttosto bene (e ancora oggi fa la sua bella figura). Tuttavia non fu mai la grafica “nuda e cruda” a farmi amare visivamente Metroid Prime, ma i piccoli dettagli che rendevano quel mondo un luogo “vivo”, pulsante di vita: le gocce di pioggia, l’acqua che scivolava giù dal casco una volta usciti da uno specchio d’acqua, il vapore che appannava il visore, le foglie che cadevano dai rami quando si sparava un colpo in mezzo a questi…

Sciocchezze dal punto di vista tecnico, ma veramente d’effetto.

Non avevo mai visitato prima d’allora un mondo virtuale così… vivo.

 

A caccia di risposte

Mentre avanzavo nella mia missione, la curiosità di capire cosa fosse “il Grande Veleno”, chi fossero i Chozo e perchè si fossero estinti (almeno all’apparenza) e cosa c’entrassero i Pirati Spaziali con tutto questo aumentava sempre di più: da cacciatrice di taglie ero diventata cacciatrice di risposte.

Proprio perché il mondo di Tallon IV mi affascinava, desideravo saperne sempre di più sul suo passato. Era la molla che mi spingeva ad esplorare le Rovine Chozo e le inospitali Grotte Magmoor, che mi incoraggiava a trovare una via d’uscita dalla stanza in cui mi trovavo o a combattere per ottenere un nuovo potenziamento.

Ogni volta che vedevo una sporgenza irraggiungibile o una porta inaccessibile mi chiedevo: «Chissà cosa ci sarà lassù? Che cosa si nasconderà dietro a quell’entrata?».

E presto la stessa meraviglia e lo stesso desiderio di studiare ogni angolo di Tallon IV li avrei ritrovati nelle piane di Hyrule.

Divenni una “scannerizzatrice ossessiva”: prima di sparare anche solo un colpo contro un nuovo nemico, attivavo il Visore Scan e lo analizzavo. Anche a costo di subire qualche colpo extra. Ma presto l’esigenza di sopravvivere mi spinse a migliorare le mie schivate: nessun mostro mi avrebbe presa di sorpresa.

 

Conosci il nemico, conosci te stesso, mai sarà in dubbio il risultato di cento battaglie

Piano piano, iniziai a capire quanto fosse importante studiare il nemico, anziché lanciarmi a testa bassa nella mischia.

Purtroppo il partire lancia in resta era sempre stato un aspetto caratteristico del mio stile di gioco. In parte lo è ancora: chi mi ha visto giocare a Monster Hunter può confermarlo. Mi lancio sul nemico, senza preoccuparmi di quanti danni subirò.

Ma Metroid Prime mi fece capire, per la prima volta, che la forza bruta non era tutto. Il Pirata Omega mi diede, a questo proposito, una buona dimostrazione, asfaltandomi senza pietà almeno cinque o sei volte prima che io riuscissi a comprendere che non sempre l’attacco è la migliore difesa.

 

Collezionando missili e sfidando la sorte

Spinta dal desiderio di migliorarmi, iniziai un’attenta ricerca anche delle espansioni dei Missili, delle Gigabombe e dei Serbatoi Energia: volevo diventare un osso duro per chiunque avrebbe cercato di fermarmi.

Per la prima volta in un videogioco, il collezionismo (già instillato in me da Pokémon Cristallo) non mi pareva fine a se stesso, ma serviva a rendermi più potente. E pazienza se mi ci volevano delle ore per trovare un nuovo Serbatoio Energia: la soddisfazione che ne derivava ne valeva di certo la pena.

Ma anche se mi capitava di ritentare per l’ennesima volta il maledetto Flaahgra per il fatto di avere troppe poche munizioni per far fronte alla sua potenza, la cosa non era frustrante: si trattava di una sfida, una sfida contro me stessa. «Riuscirò a uccidere questo nemico anche se possiedo solo 10 Missili?».

Il mondo che mi circondava era ostile, pronto ad approfittare di anche solo un piccolo momento di distrazione per farmi cadere. Non mi era mai successo con una saga Nintendo. Con altri giochi sì (Jedi Knight: Dark Forces II, ad esempio), ma mai con dei titoli Nintendo.

Improvvisamente, m’ero resa conto che una grafica dalle tinte vivaci poteva anche nascondere un’anima “dura”, spietata.

Una protagonista silente: la mia guida verso il mondo Nintendo

Trovavo inoltre affascinante la figura di Samus Aran. Non che si vedesse o si sentisse particolarmente nel corso del gioco, anzi: ma proprio questa sua… presenza in assenza la rendeva molto interessante ai miei occhi.

Chissà cosa pensava mentre eliminava l’ennesimo Pirata, chissà cosa provava nel leggere della progressiva scomparsa della razza Chozo, lei che era stata cresciuta proprio da loro…

Iniziai a crearmi un’immagine mia di Samus: un’eroina silenziosa e solitaria, coraggiosa ma cauta. Con lo sguardo velato sempre da un’ombra lontana di malinconia. Da ricordi che avrebbe preferito dimenticare. Da perdite che avrebbe preferito non subire.

Proprio la sua inconsistenza a livello grafico/sonoro mi dava la possibilità di immaginarmi la “mia” Samus. E, come me, pensavo, chissà quanti altri giocatori avevano fatto la stessa cosa. Era davvero straordinario che un solo personaggio potesse acquisire così tanti aspetti diversi. Un po’ come Link, a pensarci bene.

Ecco perché, proprio a partire da Metroid Prime, iniziai ad apprezzare l’assenza di doppiaggio (eccezion fatta per esclamazioni di sorpresa, grida di dolore e simili). Questo silenzio mi permetteva non solo di legarmi ancora di più al personaggio principale, identificandomi in questo, ma mi lasciava la possibilità di utilizzare la fantasia.

http://transfuse.deviantart.com/art/Samus-Aran-44059164

Fonte immagine: transfuse.deviantart.com

Samus fu poi una compagna fidata anche al di fuori di Metroid: quando riuscii a comprare Super Smash Bros. Melee mi sentivo ormai talmente legata al personaggio da utilizzare praticamente solo lei. Considerando che Smash mi introdusse al resto dell’universo Nintendo (e mi spinse a dare una seconda chance alla saga di The Legend of Zelda), posso quasi dire che Samus mi accompagnò in questo viaggio alla scoperta degli innumerevoli mondi della casa di Kyoto. Fu un po’ come un’amica fidata, al mio fianco mentre facevo nuove “conoscenze”, se così posso dire.

 

Alla scoperta di nuovi universi

Metroid Prime fu un vero e proprio trampolino di lancio per me.

M’insegnò a non avere timore di affrontare le mie paure. M’insegnò che c’erano altri giochi al di fuori di Pokémon che potevano affascinarmi. M’insegnò ad appassionarmi ad un titolo così tanto da ricercare spontaneamente informazioni su di esso e sulla sua storia (sì, anche sul suo processo di sviluppo e sui suoi creatori). M’insegnò quanto la colonna sonora di un videogioco potesse essere importante per determinare l’atmosfera generale. M’insegnò che anche la solitudine poteva essere piacevole. Ma soprattutto m’insegnò una cosa.

M’insegnò a non giudicare mai un gioco prima di averlo provato a fondo. A non fidarmi ciecamente dell’opinione (e delle paure) degli altri, ma a provare di persona. E a non arrendermi alle prime difficoltà.

E anche se col tempo a Metroid Prime s’affiancarono altri videogiochi, mi serbai comunque un po’ di spazio per scoprire una fetta di quell’universo, fino a terminare ogni singolo episodio della saga di Metroid.

Ora, anche a distanza di anni, torno periodicamente su Tallon IV, anche solo per ascoltare la colonna sonora e sforacchiare qualche Pirata. E per guardare quel mondo da dietro il verde visore di Samus. Gocce di pioggia comprese.

Daniela Rizzo
Videogioco da... sempre! Ho iniziato infatti a soli due anni su un MSX2, quando i giochi erano davvero tostissimi. E niente continue o password! Quanti Game Over, ragazzi! Ho poi scoperto Nintendo, e da quando mi hanno regalato un Game Boy Color non sono più tornata dal Mondo dei Funghi (o da Johto, o da Hyrule... beh, fate vobis!). Forse proprio perché ho iniziato su giochi già "vecchi", ho sempre nutrito una grandissima passione per il retrogaming: quando sento una melodia a 8 bit, mi sento sempre un po' archeologa! La mia serie preferita? The Legend of Zelda, che domande!

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