Oggi ho deciso di farmi odiare. Almeno vi do delle buone ragioni per farlo

Un paio di settimane fa ho pubblicato una prima parte di questo strano speciale scaturito dalla mia mente malata e dal mio odio represso per le banalità ricorrenti di internet. Oggi, come promesso, continuo il lavoro.

Ribadisco, qui esprimerò delle opinioni molto poco diplomatiche e accomodanti – altrimenti questo lavoro non avrebbe alcun senso – quindi se vi sentite offesi da qualcosa sono “disponibile al dialogo”, nel senso che se avete obiezioni dettate dalla logica sono sempre felice di ascoltarle e a rispondere a tono. Evitiamo però di scatenare un’inutile flamewar, per favore.

 

Ancora una volta, queste non sono tutte le argomentazioni lette e rilette che vorrei controbattere. Sto andando avanti per gradi, cercando di lasciare per ultime le cose più “traumatizzanti”, in modo da dare il meno possibile l’impressione di stare pubblicando un articolo apposta per fare scalpore e scatenare una rissa. Una terza parte credo arriverà, ma per quella voglio prepararmi meglio.

 

  • “Tu dici che Microsoft (qui uso il duo Microsoft/Sony perché è con quello che si è letta questa cosa negli ultimi mesi, ma ovviamente anche cambiando i nomi la sostanza non cambia) ha cercato di fottere l’utenza, ma cosa credi, che Sony sia un’associazione di beneficienza? Tutte le grandi compagnie fanno quello che fanno solo per i soldi, quindi non comportarti come se alla Sony fossero tuoi amici o qualcosa del genere.”

Cercherò di spiegare la mia obiezione (che non ho mai visto muovere da parte di nessuno) con un’analogia che credo sarà più facile da capire di un astruso sproloquio astratto.

Vicino a casa vostra ci sono due fruttivendoli. Entrambi vendono bene o male le stesse cose visti da fuori, quindi un giorno che vi servono delle arance entrate in uno dei due senza stare tanto a ragionare su quale. Entrate, salutate il commesso con cortesia, ma lui neanche vi guarda. Prendete mezza dozzina di arance e le portate alla cassa, al che l’uomo, con fare svogliato, le pesa lasciandole cadere noncurante sulla bilancia, vi dice il prezzo e si prende i soldi, senza aggiungere una parola.

Passa una settimana, e vi servono di nuovo delle arance. Visto il trattamento della prima volta pensate di provare l’altro fruttivendolo vicino a voi. Al bancone c’è un uomo che vi saluta e vi fa un sorriso appena entrate, senza che voi facciate in tempo a dire qualcosa per primi. Vi chiede se vi serve qualcosa, gli chiedete delle arance e lui le prende dal mucchio una per una, controllando che non siano ammuffite o avariate. Andate alla cassa per pagare e vi mettete a parlare per qualche minuto delle vostre famiglie, della situazione economica e del tempo; in poche parole, fate amicizia. Al momento del conto il fruttivendolo vi regala una caramella, dicendovi di portarla a vostra figlia. Vi salutate e lasciate il negozio.

Ora, il secondo fruttivendolo ha l’attività aperta per beneficienza? No, ovviamente lo fa per vivere. È vostro amico? Non lo saprete mai, magari in realtà gli state sulle scatole e la sua è solo una strategia commerciale, ma sta di fatto che vi tratta come un amico, e andando da lui ne ricevete i benefici. In definitiva: la terza settimana andrete dal primo o dal secondo fruttivendolo?

 

Quello che voglio dire, ovviamente, è che in ambito commerciale è logico che il cliente cerchi sempre la soluzione più conveniente, o almeno quella che dal suo punto di vista è più conveniente. Esiste la “fiducia” in una compagnia, anche se è una multinazionale miliardaria, per la semplice ragione che le grandi compagnie hanno delle strategie commerciali ben individuabili nel tempo, e da quelle si può dedurre almeno in gran parte il comportamento futuro che sarà tenuto.

Questi comportamenti non vengono tenuti perché l’uomo è di natura buona e tutti si vogliono tanto bene, ma perché avendo una linea chiara si tende ad attirare un certo tipo di utenza, quella che apprezza quel tipo di linea tenuta, e modificarla di colpo significherebbe mandare al diavolo tutta la fiducia accumulata nel tempo che le promesse vengono mantenute almeno in una certa misura e per certi aspetti.

 

  • “Il PC è la piattaforma più potente”

Datemi un secondo per spiegarmi prima di sbranarmi.

Come di sicuro non serve che vi dica io, la differenza fondamentale tra console e PC è la personalizzabilità: in pratica, tutte le console di uno stesso tipo avranno per forza gli stessi pezzi, su cui il software è testato, mentre su PC ogni macchina può essere assemblata bene o male a piacere, con l’unico elemento in comune tra tutti il sistema operativo (qualunque sia). Pertanto, se è abbastanza naturale parlare di come gira un gioco su una console, cercare di descrivere come gira su un ideale, unico PC può essere molto fuorviante.

La natura “scalabile” dei PC complica di molto la discussione su quale piattaforma possa far funzionare meglio i giochi, per la semplice ragione che bisognerebbe sempre specificare “quale” PC (e ci possono comunque essere intoppi in casi particolari difficilmente catalogabili, ma facciamo finta di nulla). Visto che il limite dei pezzi che posso attaccare ad una scheda madre è solo nel mio portafogli e negli ingressi fisici è ovvio che se costruisco un computer con un i7 di ultimissima generazione, due GTX Titan e un hard disk a stato solido, beh, sono abbastanza sicuro che nessun’altra piattaforma da gioco esistente al momento riuscirà a far girare meglio qualsiasi videogioco. Il problema è che la porzione di videogiocatori con dei PC del genere è ridotta rispetto al totale, ed è ancora più ridotta prendendo in considerazione tutti i videogiocatori, inclusi quelli sugli altri apparecchi.

Io ad esempio ho un buon PC, composto da componenti comprati tutti tra i tre anni fa e l’anno scorso, e che se sommate darebbero un costo (relativamente ai prezzi all’acquisto) di almeno 700€. Ovviamente, però, non sono neanche vicino alle prestazioni dei PC di fascia massima. Ma neanche a quelle di una console next-gen, che costerebbe molto meno se comprata oggi.

 

Se si volesse descrivere la reale situazione della “potenza del PC” penso si dovrebbe scegliere una tra due possibili vie: un’analisi delle prestazioni dei giochi per fasce di prezzo del computer su cui girano (che sarebbe più valida per un raffronto con le console) oppure una fatta col “PC ideale”, costruito basandosi su studi statistici su quali PC effettivamente ha il grosso delle persone (facendo una sorta di media per capire la “qualità del giocato” all’atto pratico su PC).

Qualsiasi analisi fatta sempre con il PC più potente disponibile sul momento non è sbagliata o inutile, ma semplicemente non descrive una situazione globale veritiera. Quelle analisi parlano ad una piccola fetta di utenza – che poi sia quella più attiva su internet e sui forum è un’altra questione; non che questo la renda più importante delle altre.

 

  • “Wii U non vende perché non ha giochi, e non vendendo poi nessuno vuole correre il rischio di produrre giochi per essa.”

Dove mi sto andando a cacciare… Questa è una questione molto, molto complicata, e voglio cercare più che altro di smontare l’idea un po’ implicita contenuta in questa frase che la colpa delle mancate vendite di Wii U sia soprattutto delle “terze parti cattive”, che rifiutandosi di portare i loro giochi perché vogliono solo fare i soldi facili di CoD e AC fanno fallire una fantastica console.

Intanto, restringiamo il campo. Parlerò di Wii U in occidente; il Giappone è un mercato molto diverso e che segue regole completamente diverse, che non conosco abbastanza e in cui non mi fido a mettere le mani.

 

Prima osservazione: è vero, Wii U ha relativamente pochi giochi. Al momento quelli disponibili sono circa 125. Basta pensare che PS4, che è uscita due settimane fa, ne ha già 34. Ovviamente risparmio confronti con le console di scorsa generazione (PS3: 2125 circa; Wii: 2025 circa; Xbox 360: 1590 circa). È passato circa un anno dall’uscita di Wii U, questo significa che ha visto una media di pubblicazioni di 10 giochi al mese (contro i 25 circa sia di PS3 che di Wii e i comunque 16 e mezzo di Xbox 360), che su un periodo ormai lungo è decisamente bassa.

Se è vero che i giochi sono pochi, e che all’orizzonte non c’è tutto questo cambio di tendenza, starei attento a dare per scontato cosa è una causa e cosa una conseguenza. Per farla breve, la mia tesi è che se anche la frase in analisi è in un certo senso vera non è quella l’origine del problema. Insomma, che anche quel doppio meccanismo sia in realtà una conseguenza di altri fattori meno caduti dal cielo. Ho l’impressione che si usi troppo spesso questa argomentazione vaga per evitare di andare davvero in fondo alla questione, ovvero che l’offerta di Nintendo nel mercato odierno non è semplicemente abbastanza competitiva.

Forse suonerò cinico nel dirlo, ma Nintendo pubblicizza un certo dipo di giochi e con un certo tono che non sono più in linea con il mercato di oggi. Non sto esprimendo giudizi su cosa sia meglio, sto solo constatando un dato di fatto: ormai neppure ai bambini vengono proposte cose “morbidose” per fare presa, è tutto un “il più potente”, “il più grosso” ecc. So che mi sto esprimendo come una scimmia, ma davvero, se avete avuto gli occhi negli ultimi dieci anni potete arrivare da soli a capire quello che voglio dire: CoD è trend, Mario no. Questo non c’è gameplay da 9,5/10 che possa cambiarlo. E Wii U ne sta pagando le conseguenze.

 

Controdomanda: allora perché il 3DS e tutte le sue varianti non vanno altrettanto male, visto che la linea tenuta lì per i giochi è circa la stessa? Una risposta unica e omnicomprensiva non ce l’ho, e probabilmente non esiste, ma un’idea credo di poterla dare. In primo luogo, con l’ascesa del mobile gaming Android e iOS  il mondo delle console portatili è stato estremizzato: chi vuole solo giochicchiare a qualcosa mentre è in giro può facilmente farlo dal telefono, mentre chi compra una console vera e propria è in un qualche modo al di sopra del gradino di “utente casual”. In sostanza, i più casual del mobile gaming non comprano console, giocano su telefono.

Se sommiamo ai 37 milioni circa di 3DS (e varianti) venduti i circa 6 milioni di PSVita… beh, eccovi il vero mercato mobile di oggi. In tre anni di 3DS e 2 di Vita sono state registrate 45 milioni di vendite, per una media (ponderata con gli anni) di 15 milioni di console vendute ogni anno. È un numero basso, se confrontato alle vendite delle console fisse: alla sola PS3 – con la concorrenza diretta di Xbox 360 e di Wii (e del PC, volendo) – sono bastati una ventina di mesi per raggiungere i 15 milioni di unità piazzate, e tutti ci ricordiamo che PS3, delle scorse console, è quella che all’inizio ha fatto più fatica a vendere.

In conclusione di questa mini-parentesi, Nintendo 3DS vende… per essere una console portatile e per non avere virtualmente concorrenza. Sta attirando a sé tutte le vendite del morente settore portatile del gaming vecchio stile, e il risultato è comunque solo buono, non eccezionale.

 

Ed è proprio qui il punto: il settore fisso è troppo cambiato negli ultimi anni per dare spazio ad una piattaforma Nintendo ancora studiata in questo modo. Se PlayStation e Xbox non esistessero, e al loro posto ci fosse solo una qualche “macchina super-mainstream”, probabilmente Wii U sarebbe in una situazione simile a quella del 3DS, ovvero catalizzerebbe quasi tutti i “vecchi gamer” rimasti.

Perché il problema della console, per me, al momento è proprio questo: non è disposta a far penetrare nulla da fuori, si è come chiusa in una bolla che raffigura una realtà alternativa del tipo “come sarebbe oggi il mondo se le console fossero ancora come quelle degli anni ’80”. E la cosa ha avuto un contraccolpo ancora più drammatico dopo l’esperienza secondo me un po’ imprevista di Wii.

L’anomalia Wii ha prodotto una scossa nel mercato videoludico che ha ribaltato tutte le carte in tavola, ma è una bolla che si è spenta molto più in fretta di quanto Nintendo si auspicasse: Wii U è stata creata con il chiaro scopo di perpetrare l’eredità di Wii, solo che a differenza della console precedente non è mai diventato un fenomeno di costume/moda, e questo è stato l’inizio della fine. Il motivo per cui Wii U non vende è che si rivolge, anche se da dentro il mondo videoludico a volte si fa fatica a capirlo, a poca gente, cioè tutti quelli che preferiscono quel particolare modello di gaming e che sono disposti a fare tante rinunce pur di averlo. Questa fascia demografica, con Wii, si era “nascosta” in mezzo ad una spaventosa massa di super-casual, e si era convinta di essere in realtà molto più grande. L’illusione è finita, e ora restano le console sugli scaffali. Wii U è una console finita preoccupantemente fuori posto, pensata per saltare agevolmente su un carro che ormai non esisteva più e quindi rimasta a piedi con poche cose da offrire ora che ne sarebbero servite, questo perché prima non si pensava sarebbero state poi così necessarie.

 

Se Wii U non vende è soprattutto perché propone un sistema di interfaccia di gioco poco pratico per tutta l’industria consolidata e perché parla ancora il linguaggio di venticinque anni fa in un mondo che intanto è andato avanti. Nintendo 64 è stato l’inizio della decadenza (32 milioni contro 100 milioni di PS1), GameCube non è riuscito a fermare il crollo, anzi (21 milioni contro 24 milioni di Xbox e 150 milioni di PS2) e Wii non ha affatto invertito la tendenza all’interno del mondo dei gamer tradizionali, ha avuto solo la fortuna di prendere un treno che per caso passava di lì e che non c’entrava nulla col resto dell’industria. A dimostrazione di questa teoria, oltre alle vendite di Wii U stessa, potrei portare le differenze abissali nelle vendite per Wii di vari giochi, con tutti i titoli del genere Sport, Fit eccetera infinitamente più di successo del grosso dei “giochi Nintendo tradizionali”; Twilight Princess ha un voto medio su GamesRakings tendente al 95% e Skyward Sword al 94%, ma hanno venduto rispettivamente 7 e 3,5 milioni di unità, a fronte di 100 milioni di Wii. Per cosa accidenti compri una console Nintendo se non per giochi del genere, se sei un “fan Nintendo”?

Wii U è solo la logica conclusione di tutto questo quadro, e decisamente non è “colpa” delle compagnie terze se non vende. Ogni creatore di console deve sapersi proporre al pubblico per garantire a chi investirà dei soldi nei suoi prodotti almeno la possibilità di un ritorno, e non si può abbuonare questa logica a Nintendo solo perché si chiama Nintendo ed è la casa di Mario.

 

 

Credo che per oggi possa bastare. Un’eventuale terza ed ultima parte seguirà in un prossimo futuro.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

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