RetroGaming, puntata 15: Exhumed (1996; Saturn, PC, PS1)

RetroGaming, puntata 15: Exhumed (1996; Saturn, PC, PS1)

RetroGaming è una rubrica che guarda al passato dei videogiochi per rapportarlo al presente – in altre parole, pesco un vecchio gioco che conosco da più o meno tempo e cerco di analizzarlo sia inquadrandolo nella sua epoca storica sia mettendomi nei panni di doverlo giocare oggi come videogiocatore moderno. Esce al sabato, con cadenza bisettimanale.

 

Exhumed è un titolo passato curiosamente inosservato persino all’epoca in cui è uscito. Era un gioco che cercava di conciliare le nuove engine 3D complete con lo stile artistico e di controlli degli FPS classici, senza la pretesa di inserire particolari innovazioni nel gameplay. Ha avuto un lancio molto scaglionato e complicato, cambiando di publisher e uscendo prima su Sega Saturn e poi in fasi alterne su PC e PS1 nei vari continenti, con anche nomi diversi (in America il titolo ufficiale è PowerSlave).

Questo non significa che sia un brutto gioco. E infatti non lo è.

 

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Quando le schermate dei menu si facevano coi pochi mezzi a disposizione… questo era un ottimo risultato.
Immagine originale qui

 

Exhumed è un FPS caduto perfettamente a metà del salto generazionale che ha cambiato per sempre il suo genere: si avvale già di un mondo veramente in 3D, non solo simulato, ma sfrutta ancora diverse tecniche tipiche degli FPS “semi-3D” alla Doom, in primo luogo l’uso di sprite 2D per raffigurare nemici, oggetti e armi, nonché un impiego molto modesto (e nella versione PC del tutto assente) di illuminazione 3D, motivo per cui alla fine appare molto più simile a Doom che a Quake, anche se tecnicamente parlando è più vicino a quest’ultimo.

Se non avete la più pallida idea di quello che sto dicendo, permettetemi di farvi un riassunto.

 

Gli FPS, se già vogliamo chiamarli così, sono nati in 2D, con titoli in cui era necessario sparare ma non muoversi (ovvero con le shooting galleries da sala giochi, e parlo anche di roba vecchia come il mondo), ma non ci è voluto molto prima che qualcuno si inventasse degli stratagemmi per permettere al giocatore di spostarsi con una visuale in prima persona, e quindi emulando un ambiente 3D non statico.

Il primo passo è stato quello dei cosiddetti “Maze”, che se la cavavano con il trucco più semplice: invece che avere un’immagine fissa disegnata si basavano su semplicissimi algoritmi per raffigurare gli elementi “visti” a seconda della posizione e direzione del giocatore all’interno di un’ambiente a griglia, che permetteva solo movimenti prefissati. Apparivano più o meno così, o così. I più avvenieristici usavano griglie non a scacchiera, ma la sostanza era sempre quella.

Il salto più significativo e tecnologicamente importante è stato però quello che ha permesso di muoversi liberamente in degli ambienti 3D. Fu Battlezone, un arcade, ad usufruire per primo di questa tecnologia, mentre per vedere l’aggiunta di texture all’ambiente bisogna con ogni probabilità guardare a Wayout, che nel 1982 già sui computer Atari 8 bit riusciva a simulare ambienti 3D a movimento completamente libero e appunto texturizzati. Da lì la strada è stata sostanzialmente in discesa, la tecnica è stata perfezionata e siamo arrivati al punto in cui ha permesso di produrre sempre più titoli dai movimenti abbastanza fluidi e con ambienti abbastanza complessi da poter avere lo sparare a vari nemici inoltrandosi sempre più nel livello come meccanica di base. id Software ne sapeva qualcosa anche prima di Doom.

Questi giochi apparivano in 3D e come tali si comportavano, ma tecnicamente parlando il loro rendering e la struttura dell’engine non lo erano. Per farla molto semplice (perché non è che anche io sia laureato in programmazione), gli ambienti partivano da una struttura planimetrale rigorosamente 2D a cui venivano modificati alcuni “attributi” che ne determinavano l’aspetto 3D: il pavimento e il soffitto iniziarono ben presto a poter essere spostati in altezza, ma non era per esempio possibile avere due stanze una sopra all’altra, perché i concetti di “pavimento” e “soffitto” erano pre-costruiti nel funzionamento dell’engine stessa, ovvero erano attributi della superficie piana della stanza, e quindi due stanze una sopra l’altra non erano concepibili. Al momento del render poi non venivano, come oggi, applicate delle texture a delle superfici solide posizionate nello spazio, ma si usavano le linee (spesso solo orizzontali e verticali, ma per prospettiva anche diagonali) per delimitare delle zone “piane” sul video in cui applicare le texture con conseguente deformazione. Gli oggetti erano rettangoli piani nello spazio a cui corrispondevano dei disegni 2D che nel migliore dei casi cambiavano in relazione a una “direzione base” data all’oggetto rispetto all’angolo da cui lo guardava il giocatore (ovvero, il nemico era una sorta di gif animato, e se lo guardavo da dietro c’era un altro gif animato, che lo mostrava di spalle). Sono tutte differenze abbastanza sottili, ma restavano parecchie problematiche, soprattutto in termini di limitazioni nello scripting e nel level designing.

Ed  è per questo che appena i computer e le console sono diventati abbastanza potenti da permetterlo si ha cominciato a lavorare con ambienti veramente in 3D, non più solo “simulati”. L’esempio più ovvio è proprio Quake, ma tanti altri giochi, tra cui il nostro Exhumed, usavano già le nuove possibilità offerte da un’engine strutturata diversamente alla radice pur mantenendo lo stile grafico e di gameplay utilizzato fino ad allora.

 

Ma perché vi sto dicendo tutto questo, visto che sono qui per parlare di Exhumed? Forse è perché sono un pedante bastardo, o magari perché mi piace sapere che i miei lettori hanno tutte le informazioni per giudicare a dovere quello di cui si parla. Scegliete voi quella che vi piace di più.

 

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I faraoni risparmiavano sulla disinfestazione…
Immagine originale qui.

 

Tornando a noi, il gameplay di Exhumed è molto simile a quello di Doom e di tutti gli altri suoi derivati al punto di non distinguersi per niente in particolare. Si raccolgono armi ed oggetti, si attraversano degli ambienti suddivisi in livelli in cui è spesso necessario trovare chiavi o premere interruttori per poter procedere, si spara a tante cose finché non muoiono e smettono di sparare a te…

Insomma, Exhumed sostanzialmente è Heretic, solo un po’ più legnoso nei controlli e con la possibilità di immergersi sott’acqua offerta dall’engine 3D completa.

 

Ma questo su PC, perché su console ci sono alcune differenze che lo rendono molto diverso.

In primo luogo, i livelli sono affrontabili in ordine casuale grazie a una mappa navigabile. Questo si ricollega anche ad una dinamica più interessante che coinvolge il gioco nel suo complesso, per cui alcuni “potenziamenti” ottenuti in certi livelli (ad esempio la capacità di camminare sulla lava, di saltare più in alto…) permettono di accedere a zone altrimenti precluse di altri, dando vita ad una struttra tecnicamente “open world” che rende di fatto Exhumed più vicino ad Hexen che ad Heretic. Tutto questo è completamente assente su PC, dove si procede linearmente mappa dopo mappa senza possibilità di tornare indietro, e dove certe aree su console in “forse” sono state dunque rese accessibili o sempre o mai.

La engine stessa è curiosamente castrata su PC rispetto alle versioni PS1 e Saturn (credo sia proprio un’altra engine, più vecchia, anche se il perché è stata usata quella per il port mi sfugge), dato che le luci dinamiche presenti nelle due versioni console sono completamente assenti, sostituite da una “finta illuminazione” simile a quella già vista in Doom e corrispondente all’aumento omogeneo della luminosità di sezioni di texture in corrispondenza alla vicinanza di alcuni “eventi” – se spari a un muro si illumina tutto uniformemente, non c’è una fonte di luce dove il colpo cade e che scema man mano che le ci si allontana.

C’è un’infinità di altre piccole e grandi differenze che favoriscono talvolta l’una talvolta l’altra versione, mentre in altri casi ancora rendono le cose semplicemente diverse. Se volete un elenco molto più esplicativo e preciso di quanto ho scritto io qui potete consultare la pagina inglese del gioco su Wikipedia, redatta da qualcuno con più versioni alla mano di Exhumed e decisamente anche più tempo libero di me.

 

http://pekoeblaze.files.wordpress.com/2013/12/exhumed-map-screen-non-linear.jpg

Non mi ricordavo ci fosse un vulcano attivo subito dietro Karnak… anche se qualcuno suggerisce che il Dio dell’Antico testamento fosse un vulcano. Giuro.
Immagine originale qui.

 

A spiccare in tutte le versioni è invece il design artistico. Se come ho detto il gioco non è visivamente molto più impressionante di titoli più vecchi anche di due o tre anni la cura messa nella realizzazione degli ambienti e dei nemici è ben superiore alla media. Per una volta ho un modo facile e semplice di farvi vedere tutti i nemici, dato che qualcuno ha gentilmente estratto tutti gli sprite di gioco e li ha caricati come serie di immagini.

Il contesto egizio è stato sviluppato tenendo conto dei vari spunti mitologici che offre, combinando quindi mostri mitologici e non, ma comunque “a tema”, per un risultato finale molto convincente, originale e suggestivo. Se pensate che il nemico “base” è l’Anubis e lo confrontate con il pur iconico Zombie di Doom potete facilmente capire cosa intendo.

 

Anche la trama di Exhumed merita un piccolo approfondimento. La premessa è molto simile a quella di Doom: vicino Karnak, in Egitto, strani eventi stanno avendo luogo, così una squadra di ricrerche viene inviata. L’elicottero su cui viaggia ha però un misterioso incidente, e l’unico superstite dello schianto è il protagonista, che si trova così costretto a vedersela da solo con l’esercito di creature sovrannaturali che imperversa nell’area (seppure venga “guidato” dallo spirito di Ramesses II, la cui mummia è stata riesumata da queste strane creature; da qui il termine “exhumed” che fa da titolo alla versione europea).

Alla fine si scopre che queste creature sono… alieni. Wow. Questa mi ricordo di averla già vista. Ok, ad onor del vero Exhumed è uscito due anni prima di Hexplore; ma in Hexplore arriva lo stesso MOLTO più inaspettata.

 

Una piccola curiosità: entrambi i titoli, Exhumed e PowerSlave, hanno un corrispondente – precedente – in ambito musicale. Gli Exhumed sono infatti una band americana nata nel 1990 (anche se non attiva sul mercato fino al 1998) mentre Powerslave è il titolo di un album e di una canzone degli Iron Maiden. Sembra che il secondo si trattasse di un riferimento voluto, mentre non ho notizie riguardo al primo.

La cosa si potrebbe complicare se vi dicessi che finché era in lavorazione il gioco veniva ufficialmente chiamato Ruins: Return of the Gods e se cercassi di ricostruire fino a che punto il cambio di publisher per la versione PC (da 3D Realms a Playmates Interactive Entertainment) ha effettivamente influenzato i nomi finali, e su quali piattaforme. Quindi evito.

 

A differenza di quanto in molti credono è probabile che la testa di Anubi dovesse raffigurare quella di un cane, e non di uno sciacallo. Uno degli elementi a favore di questa teoria è il nome dato dai greci a El-Kes, la città centro del suo culto: Kynopolis, “Città del cane”.
Tutto questo è comunque abbastanza irrilevante una volta che si fa caso che Anubi era una divinità singola e allegorica, non una progenie di bestie aliene uccidibili con un mitragliatore pesante.
Immagine originale qui.

 

Che altro dire? Exhumed è un gioco interessante, ed è un buon FPS vecchia scuola. Procurarselo per console sarà complicato, e per PC – legalmente – lo sarà ancora di più; ma ne varrebbe la pena, perché entrambe le versioni a modo loro sono più che apprezzabili per chi conosce questo “genere” ed è abituato a giocarlo.

Se proprio siete curiosi di vedere Exhumed in azione e non volete complicarvi la vita ho trovato un walkthrough completo per tutte le sue varianti: qui avete tutto il gioco per PC, mentre qui per PS1, che delle due sembra la versione console preferibile.

E poi chi accidenti ha in casa un Sega Saturn?

 

Comunque qui c’è anche quella. State tranquilli, non discrimino nessuno.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

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