RetroGaming, puntata 25: Divine Divinity (2002; PC)

RetroGaming, puntata 25: Divine Divinity (2002; PC)

RetroGaming è una rubrica che guarda al passato dei videogiochi per rapportarlo al presente – in altre parole, pesco un vecchio gioco che conosco da più o meno tempo e cerco di analizzarlo sia inquadrandolo nella sua epoca storica sia mettendomi nei panni di doverlo giocare oggi come videogiocatore moderno. Esce alla domenica, con cadenza bisettimanale.

 

La prima cosa che ci si chiede guardando Divine Divinity – e sfido chiunque a dirmi che non è vero – è: chi DIAVOLO ha scelto il titolo?

Una volta passati sopra a quello, ci si rende conto che si è davanti ad uno dei migliori RPG isometrici “alla Fallout” di sempre, pieno di spunti originali e di scelte che combaciano alla perfezione, seppure anche minato da difetti di varia natura ed entità.

 

divine divinity screenshot 1

Funzione integrata per gli screenshot. Grazie.

 

Temporalmente, Divine Divinity si colloca in un momento, la fine del 2002, in cui si era già superato lo scoglio dell’enorme successo di questo genere (2000) e si andava, con calma, verso il successivo declino. Baldur’s Gate 2, Planescape: Torment, Icewind Dale erano già arrivati e partiti da un pezzo, e mentre Bioware e Black Isle Studios stavano già prendendo altre strade alcuni sviluppatori rovistavano tra le meccaniche di un intero genere per tirare fuori qualche nuova combinazione di elementi.

Divine Divinity è, in parte, un perfetto esempio di questa “coda” di genere: prende molto da Baldur’s Gate, ma sa impacchettarlo in una cornice molto più simile a quello che si era visto in Diablo 2. Si controlla un unico personaggio, non esiste nessun “party”, e il sistema di combattimenti è più vicino a quello del titolo di Blizzard, solo che con una serie intelligente di modifiche si permette al giocatore di non dover cliccare un migliaio di volte ogni ora di gioco (quando si ingaggia solo in corpo a corpo si continua a colpire finché non viene dato un altro ordine, e si può tenere premuto il tasto sinistro del mouse per continuare ad avanzare nella direzione in cui è il cursore).

All’inizio si sceglie il proprio personaggio tra tre “classi”, e quindi si comincia con un paio di abilità tra le tre categorie disponibili nel gioco (Guerriero, Mago e Sopravvissuto) e le statistiche più in linea con quello stile di gioco. Ogni volta che si sale di livello, come da copione, si possono assegnare dei punti per migliorarsi le statistiche (assunto che troviate la “V” di conferma, d’ufficio nascosta sotto la grafica di un’altra finestra dei menù) e scegliere una nuova abilità dall’elenco, oppure potenziarne una volta una già posseduta. Le abilità seguono molto la “logica Fallout”, ovvero accanto a vantaggi per i combattimenti e simili si ottengono poteri non necessari ma che possono aprire la strada a soluzioni diverse di alcune situazioni (scassinamento, borseggio, alchimia…), anche se il bilanciamento preferisce essere “buono” piuttosto che chiedervi di avere la sfera di cristallo. In altre parole, niente di tutto quello è mai davvero necessario. Ma può essere utile.

 

Divine Divinity screenshot 2

Bisogna essere anche ad un livello minimo per comprare un’abilità, ma non c’è bisogno di specializzazioni nei vari campi. Il che è molto utile, se a due terzi della partita hai sviluppato solo magia e combattimento e ti rendi conto che saper scassinare le serrature sta diventando necessario per aprire il 90% dei bauli (in cui poi si scopre esserci solo ciarpame, ma questa è un’altra storia).

 

In un certo senso, quindi, Divine Divinity è Diablo con un sistema di quest alla Baldur’s Gate; ma ha anche molti spunti che sinceramente non ho mai visto da nessun’altra parte (possibile anche che me li sia persi io, eh, non ho giocato ogni RPG mai creato).

Il primo e più interessante è il fatto che da circa un’ora dopo che si è iniziato a giocare si hanno a disposizione due teletrasporti portatili. Ci sono teletrasporti nell’ambiente che vanno attivati una prima volta raggiungendoli e poi si possono usare a piacimento (come in Diablo 2, solo che in linea con la natura non lineare di DD per ciascuno bisogna anche avere già ottenuto una pergamena di un certo tipo), ma si hanno anche, appunto, due piccole piramidi che si possono piazzare nell’ambiente e usare per andare immediatamente da una all’altra come e quando si vuole. Ad esempio, diciamo che piazzo una piramide davanti ad un letto per dormire e poi entro in un dungeon; quando sarò troppo ferito per proseguire non dovrò fare altro che piazzare la seconda piramide dove sono arrivato e usarla per tornare alla prima, dormire e riprendermi e poi ripartire esattamente da dove ero arrivato. Le piramidi si possono usare anche tenendone in mano una (cioè ne piazzo una e uso l’altra senza averla posata), quindi non ci sono neanche problemi di “recupero”.

Inutile dire che si tratti di una scelta molto coraggiosa, che se gestita male potrebbe facilmente rompere alcune meccaniche di gioco; ma così non è, perché nonostante la relativa complessità dell’incastro delle missioni finisce per essere solo un modo per far valere lo spirito d’iniziativa del giocatore.

Un’altra caratteristica insolita per un gioco simile è la struttura della mappa. Tutto il mondo di gioco principale (esclusi quindi dungeon e ambienti strani legati alle quest) è diviso in sole tre aree, di cui una letteralmente enorme e completamente aperta. Divine Divinity è, nel vero senso della parola, “open-world”, in un modo di nuovo simile a come lo era Diablo 2, ma questa volta con la complessità e profondità del mondo di Baldur’s Gate.

 

Divine Divinity screenshot 3

A differenza che in Diablo, il grosso dei nemici qui non si respawna. OH, SÌ.

 

Nulla da dire sul sistema di combattimento, che è molto semplice ma fa il proprio lavoro: cliccando col tasto sinistro del mouse su qualcuno lo si ingaggia e lo si continua ad attaccare, e in più ci sono incantesimi ed abilità assegnati al tasto destro. Il tutto è appena un po’ più legnoso e limitante che in Diablo 2, e si capisce che l’idea di fondo per la difficoltà era chiedere al giocatore di arrivare nei posti giusti con le magie e le armi giuste giuste, e non obbligarlo a imitare un giocatore sudcoreano professionista di Starcraft.

Divine Divinity non ha comunque neanche la complessità dei giochi di derivazione D&D, cioè si contiene molto negli effetti speciali e nelle statistiche. Potete congelare, bruciare e avvelenare (e venirlo a vostra volta, ovviamente) e ci sono un altro paio di effetti tipo rallentamento e invisibilità, ma tutto il resto è puro e semplice danno diretto, e non c’è assolutamente un gran incastro di condizioni ed effetti a cui tenere dietro, come invece – un nome a caso – in Baldur’s Gate (penso ai simpaticissimi basilischi).

 

Ma non ho ancora parlato dell’aspetto più cruciale perché un titolo del genere si mantenga bene in piedi nel lungo periodo: le quest. Come ho detto prima, il sistema è virtualmente identico a quello di Fallout/Baldur’s Gate o qualsiasi RPG di quella ispirazione: girando per il mondo, parlando con degli NPC, andando in certi posti, trovando oggetti specifici ecc. vengono avviate delle missioni, che sono annotate nel diario del personaggio. Il grosso delle missioni non è “obbligatorio”, ovvero non ha nessun effetto sull’arrivare a vedere la fine del gioco, ma tutte quante costruiscono atmosfera e contesto, e impegnano a vari livelli per essere completate.

Anche l’incastro delle quest è un minimo curato, ovvero si fa molta fatica ad intravedere degli schemi ricorrenti nel tempo. Per esempio, arrivati circa ad un terzo della trama principale, prima di poter proseguire dovete guadagnare una certa reputazione, ovvero dovete di fatto completare abbastanza quest secondarie; è una condizione unica, giustificata dalla trama, che non si verifica di nuovo andando avanti. Al contrario, successivamente vi viene dato l’incarico di recuperare delle persone in giro per il mondo (sempre quest principale), e lì avete una discreta libertà sull’ordine di azione. Se ogni tanto solo passando per un certo punto della mappa viene attivato per forza un dialogo che introduce ad una missione ci sono anche tantissime quest che potreste non scoprire mai, o comunque non risolvere mai.

 

Divine Divinity screenshot 4

Una normale giornata da paladino della luce.

 

I problemi con le quest sono due. Il primo è nell’altalenanza della profondità e della qualità con cui le si è pensate e costruite.

Esempio 1 [lieve spoiler]: si inzia il gioco chiusi in un villaggio di guaritori. Tra le varie cose, se vagate e parlate con gli abitanti scoprirete che due di essi hanno in cura due pazienti in fin di vita, ma c’è una sola gemma magica capace di curarli, quindi per rispetto reciproco nessuno la usa. Potete prendere la gemma e usarla su uno dei due, ma così facendo condannate l’altro. Potete non fare niente e proseguire nel viaggio e nella trama, in questo modo uccidendoli entrambi. Poi c’è la terza strada, quella che permette di risolvere la quest nel modo migliore, ma che richiede esplorazione e spirito di iniziativa. In una casa abbandonata, semi-nascosto, c’è uno specchio magico che potete raccogliere, accompagnato ad un documento, le sue “istruzioni d’uso”: immergendo in una fonte d’acqua lo specchio e successivamente un oggetto, lo specchio andrà perduto e vi ritroverete con due copie dell’oggetto. Se quindi trovate una qualsiasi pozzanghera abbastanza profonda dentro il villaggio, trascinate lo specchio dal vostro inventario in essa e poi ci trascinate la gemma vi troverete con due cure, che vi permetteranno di salvare entrambi i pazienti. A nessun punto vi viene detto di usare lo specchio per risolvere la quest, né vi viene detto che anche solo esiste.

Questo è buono.

 

Divine Divinity screenshot 5

Per capire questa avete bisogno di un livello in “Nerd degli RPG” superiore a 75.

 

Esempio 2 [lieve spoiler]: vicino ad un giardino incontrate un gruppetto di persone, che vi dicono di essere discepoli di un certo “Filosofo”. I discepoli vi chiedono se siete interessati al loro credo e se volete una copia del libro del loro maestro, e voi, tra le alternative suggetirevi dal gioco, gli rispondete di no. Poi vi spiegano che dentro al giardino è custodita una statua in memoria del loro defunto mentore a cui vorrebbero recarsi, ma non possono perché appunto il cancello è chiuso. Vi informano che la chiave è nelle mani di un mercante della vicina città. Andate da lui, e vi spiega che ve la darà se vi proverete degno (ovvero se avete una reputazione globale abbastanza alta). A quel punto ottenete la chiave, assieme all’indizio che “c’è qualcosa che riguarda delle rane”, e tornate dai discepoli, che però vi dicono che resteranno lì a meditare, e che siete voi a dover entrare per seguire la via del maestro. Nel parco non c’è apparentemente niente di che. C’è una statua, quella incriminata, che vi viene segnata come interagibile, ma cliccandoci non succede niente. Dopo venti minuti di vagare alla cieca, presi dalla disperazione, iniziate a tirare meteoriti magici alle rane dello stagno (che sono solo normali rane, eh), finché dopo averle uccise tutte si apre un portale magico random. Ci entrate, combattete dei non-morti per due minuti, poi tornate indietro e il portale si chiude. Andate dai filosofi, ma continuano a ripetervi la stessa cosa di prima, come se non aveste fatto niente. Andate dalla statua, ancora niente. Tornate dal mercante, nisba. A questo punto andate su internet e cercate una guida alla quest, e scoprite che per parlare alla statua dovete “avere nello zaino il libro del filosofo”, quello che due ore prima vi hanno chiesto cortesemente se per caso non volevate neanche ricevere, né allora né mai, quando ancora non sapevate neanche di essere di fronte ad una quest.

Questo non è buono.

 

I casi gravi come questo sono oggettivamente pochi, ma lo sono anche quelli buoni come il primo esempio. E in ogni caso c’è il secondo problema, che forse è anche peggiore: la gestione dei dialoghi, questa sempre e comunque.

Se parlate con qualcuno più volte vi vengono proposte a ripetizione sempre le stesse opzioni di dialogo, e ottenete sempre le stesse risposte, come se non gli aveste mai parlato. È senza senso, e rovina del tutto l’atmosfera; è come se questa componente fosse stata tarata per persone col livello di attenzione di bambini di 5 anni, a cui bisogna ripetere qualcosa venti volte prima che lo recepisca (e il resto del gioco, garantisco io, è tarato al minimo su “voglio il tuo sudore” e al massimo su “voglio la tua anima all’inferno per le bestemmie che ti farò tirare”).

 

Divine Divinity screenshot 6

[lieve spoiler] Divine Divinity deve essere l’unico gioco della storia che vi manda a recuperare nientemeno che il Sacro Graal… perché si non si rende conto che potreste benissimo farne a meno.
Per farla breve, una persona viene trasformata in animale da un mago, e dovete scoprire la cura. Un sacerdote vi dice che l’acqua di una qualche fonte sacra a cui solo lui ha accesso potrebbe funzionare, ma l’unico contenitore in grado di trasportarla è il Graal. Quindi costeggiate per cinque minuti delle montagne finché non trovate una grotta, fate fuori uno scheletro di fuoco, entrate in un portale, raccogliete il calice e venite smembrati dalle mummie lì presenti, che si risvegliano. A questo punto caricate l’ultimo salvataggio – che furbamente avete realizzato prima di entrare nel portale -, piazzate una delle due piramidi del teletrasporto fuori da esso, entrate, raccogliete il Graal, mostrate il dito medio alle mummie mentre sparite dalla sala, andate dal sacerdote e usate l’acqua per invertire l’incantesimo e salvare quella che credo si rivela essere un’elfa (che dopo tutto questo casino vi dice “oh, grazie” e se ne va).
Tutto ok, quindi? Avete salvato la giornata, giusto? Peccato che, se il gioco fosse un minimo flessibile, tutto questo non sarebbe stato necessario. Per la quest principale anche un’altra persona viene tramutata in animale esattamente nello stesso modo, ma in quel caso trovate comodamente il “bastone della trasformazione”, o qualcosa di simile, accanto a lui, che vi permette con estrema facilità di invertire l’incantesimo sul posto. Già che ci siete potreste usarlo anche sull’elfa, vero? No. Se almeno ci si fosse impegnati per dare una minima giustificazione con un dialogo, del tipo “questa magia è più potente, il bastone non funziona”, forse chi gioca non si sentirebbe trattato come un ciuco.

E peggiora quando ci si rende conto che in assoluto gli “sviluppi” nei dialoghi sono molto, molto pochi. Di solito sono previste opzioni di dialogo quando iniziate e quando finite le quest, senza niente nel mezzo. Non c’è praticamente “comunicazione” con gli NPC, non vi viene permesso di dire loro cose che avete già scoperto e che potreste volergli comunicare, o per utilità o per puro piaciere. Di solito “dover parlare con qualcuno” e “poter parlare con qualcuno” coincidono, e uscendo da questo schema si entra nel Truman Show delle battute ripetute all’infinito senza motivo e senza andare da nessuna parte. Sul serio, è brutta quasi come in Diablo 2, solo che Divine Divinity è impostato come Baldur’s Gate.

 

Detto questo, il “livello” dei dialoghi, cioè il tono e lo stile, è… ok, immagino. Niente di geniale, e i personaggi sono caratterizzati in modo o molto caricaturale o molto scontato, con un paio di eccezioni comunque di sicuro dimenticabili. Il vostro personaggio è la cosa più anonima dopo l’Uomo Invisibile e il protagonista di Dragon Age Origins, ma questo in un gioco simile e di quegli anni è abbastanza prevedibile. Il grosso dei dialoghi sono solo scritti, ma almeno in base a quale delle sei alternative iniziali (tre classi, due sessi) si è preso ha dei tratti fisici e una voce diversa per le poche frasi parlate.

In generale, c’è un mischione di fatalismo para-serioso, tragedia e occasionalmente ironia da freddure che per funzionare funziona anche, ma solo perché per come è costruito il gioco non si fa molto caso al contesto globale e si seguono di più i vari momenti. [medio spoiler fino a dopo l’immagine] Il giovane re posseduto da un demone è parecchio interessante come idea, e porta a situazioni quasi ad un livello da Jeoffrey de Il Trono di Spade (questo, ricordo, in un gioco del 2002). Poi però basta che la parola magica per raggiungere il concilio che deve salvare il mondo sia un impronunciabile scioglilingua su cui si fa ironia da scuole elementari con tutti i personaggi coinvolti per rendere tutto inutile nell’ottica della creazione di un’atmosfera di tensione.

 

Divine Divinity screenshot 7

Napoleone è qui, bastardi!

 

Per chiudere con una nota più positiva, graficamente (anche se chiaramente antiquato) il gioco è sempre coeso, chiaro e piacevole da guardare, e la colonna sonora è veramente di livello alto; non la metterei nelle più memorabili della storia, e forse neanche nella storia degli RPG, ma praticamente ogni singolo brano è movimentato e piacevole da ascoltare anche da solo. Cosa che – per inciso – potete fare sul vostro lettore mp3 anche ora, dato che il compositore ha deciso di distribuire l’intera OST del gioco gratuitamente e legalmente tramite questo link (che proviene da questa pagina, che è davvero il sito del compositore. Quindi state tranquilli e fidatevi un po’ di più di me, che diamine).

 

 

Di cose da dire su un titolo simile ce ne sarebbero sempre delle altre, ma penso di avervi tediato già anche troppo, e confido che si sia capito abbastanza cosa va e cosa non va in Divine Divinity, almeno secondo me. Il gioco è acquistabile su GoG per $6 (circa 4,50€) e su Steam (la versione che ho usato io) al prezzo di 6€, oppure in bundle con anche Beyond Divinity e Divinity 2 per 15€ in tutto.

Non sembrerebbe avere troppi problemi di compatibilità con i computer moderni, né per mia esperienza personale né per quello che ho rapidamente letto in giro. A quanto pare esiste una patch amatoriale per l’italiano, che trovate qui, ma non l’ho utilizzata o anche solo scaricata, quindi quella sì la installate a vostro rischio – ecco uno dei vantaggi di imparare bene l’inglese.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

Lascia un commento