Generalmente scrivo di giochi completamente o quasi completamente dimenticati, e tendenzialmente anche di dieci o più anni fa. Il gioco di oggi non è così sconosciuto, e non è neanche così vecchio, ma è qualcosa di cui voglio parlare da diverso tempo, e che non mi sembra giusto lasciare ulteriormente nell’ombra.
Darkwatch è un FPS uscito nella seconda metà del 2005, ovvero in pieno tramonto dell’era PS2/Xbox. Ma non è un normale FPS come le decine che le due console hanno conosciuto. È qualcosa che, per quel che ne so, è assolutamente unico: è un clone di Halo.
Per “clone di Halo” non intendo che riprende i temi e le ambientazioni fantascientifiche molto armaturose e laserose della serie di Bungie – cosa che invece in parecchi hanno cercato di fare, chi più chi meno palesemente e tutti con scarso successo – ma che ne studia e adatta il particolare gameplay ad un contesto completamente diverso. Ed è per questo che Darkwatch funziona bene: prende una formula vincente ma non già stra-riciclata e le dà un contesto nuovo, invece di cercare di sfruttare un contesto conosciuto ma sfornando un gioco mediocre o banale con un gameplay mal riuscito.
La trama di Darkwatch è l’ultima ragione per cui questa pagina sta venendo scritta, e non voglio neanche fare finta che sia nulla di più che un pretesto per far finire il giocatore in vari posti e sparare a varie robe. Un vampiro millenario si libera, ti vampirizza e tu devi farti lui e tutte le bestie che scatena contro il mondo. Tanto basti.
Ma c’è una differenza sostanziale tra “trama” e “contesto”. Ed è il contesto, l’ambientazione, lo stile di Darkwatch a dargli, tra le altre cose, una marcia in più. Darkwatch è in primo luogo qualcosa che non sa di già visto; il design dei mostri non è incredibilmente elaborato, ma è di sicuro unico.
I nemici, ben studiati e realizzati, sono uno strano mescolone di horror e western, che riesce però a non trabordare mai in nessuna delle due direzioni e si mantiene molto abilmente in un qualcosa nel mezzo perfettamente coerente con se stesso. A scheletri con falcetti si abbinano pistoleri e tiratori scelti non-morti, con qualche tocco di banshee vestite come donne dell’Ottocento. Ci sono poi anche cose meno facilmente identificabili, primi tra tutti… questi affari:
Il design dei mostri è perfettamente in linea con quello del Far West stesso di Darkwatch, che è (per il poco che ne vediamo) grigio, cupo, ma sempre caratterizzato da linee semplici e ambienti con pochi elementi artificiali, secchi e desertici, come quelli di un reale deserto nordamericano.
Ma dopo e ancora più che nemici ed ambientazioni, qual è la cosa che in un FPS richede un design di classe? Le armi, ovviamente. E in Darkwatch le armi non deludono, finendo se possibile per essere la cosa in assoluto più azzeccata di tutto il comparto artistico.
I colori sono in tinta col gioco, alternando neri e argenti opachi, per dare l’effetto finale di oggetti di solida fabbricazione ma per nulla pacchiani e comunque usati dal tempo. Un tema di fondo che ritorna in tutto l’arsenale del gioco sembra essere quello delle croci; ci sono croci su tutto, dai tamburi dei revolver e dei fucili al mirino di una doppia gatling. Molto più interessanti delle croci sono poi le lame montate ovunque. Il calcio di tre quarti delle cose termina con una lunga e rozza lama affilata, e il rimanente quarto ne ha un paio più semplicemente montate sotto alla canna.
Le armi non sono solo di bell’aspetto; dà anche parecchia soddisfazione usarle. E qui abbandono gli aspetti concettuali ed entro nel merito del gameplay.
Darkwatch non è un gioco particolarmente “elaborato”. È un FPS del 2005 prodotto da uno studio sconoscuto, non potete pretendere che sia Bioshock: Infinite. Ma nella sua monotonia, linearità e prevedibilità Darkwatch funziona per la semplice ragione che sparare alle cose dà una soddisfazione incredibile (probabilmente più che in Infinite, per inciso).
I nemici hanno un’implementazione fisica notevole per l’epoca: alcuni arti saltano, le esplosioni sparano via la gente, i cadaveri rimangono parzialmente fisici (no, non li si può t-baggare; il giocatore non è fisico). Su una una PS2 non era per nulla scontato poter tirare fuori due revolver, mettersi a sparare ad un rateo impossibile e far volare via la gente da tanti colpi che prendeva. Così come non era scontato poter sparare una fucilata ad un cecchino zombie e fargli saltare un braccio, vedendolo ruotare per il contraccolpo nella direzione dell’arto saltato, tirare una seconda fucilata e far partire l’altro braccio e guardarlo per un istante mostrarti i denti minaccioso, ormai senza possibilità di offesa, prima di usare il terzo colpo per fargli saltare la testa.
Oltre alle armi, che sono in tutto una decina, il giocatore ha a disposizione una serie di poteri, che crescono nel tempo sia trovando e liberando o assorbendo delle “anime” nel corso delle missioni sia con eventi proposti dalla trama. I poteri sono otto, e sono divisi tra “bene” e “male”. Ogni volta che si accumulerà “esperienza” per sbloccare nuovi poteri sarà possibile decidere a quale delle due colonne assegnarla; lo sblocco dei poteri è lineare, non selettivo, quindi conviene puntare tutto su una delle due serie per arrivare più in fretta al quarto e ultimo, il migliore e l’unico veramente utile.
I poteri sono infatti un elemento interessante e abbastanza originale in un gioco del genere, ma finiscono molto dimenticati e suonano un po’ come un’occasione sprecata per aggiungere ulteriore profondità. Il grosso di essi non serve mai veramente così tanto, tranne che in situazioni estreme e solo alle difficoltà più alte, ma soprattutto non aggiungono quasi nulla al gameplay. L’ultimo potere di entrambe le serie causa danni diretti ed è l’unico che può servire davvero, ma giuro che la metà delle volte mi scordo anche solo di averli, e gioco perfettamente anche senza.
Come dicevo all’inizio, Darkwatch guarda molto ad Halo come gameplay, soprattutto per la possibilità di eseguire salti alti e molto ammortizzati, stile Luna, e per la particolarità di avere uno scudo auto-rigenerante prima della vita vera e propria. Non è un gioco “frenetico”, come poteva ad esempio essere già Medal of Honor (quello che vi pare tra quelli per PS2; per comodità, dico European Assault), è esattamente l’opposto, cioè un gioco di lenti salti su lunghe distanze, tuoi e dei nemici. Il tutto mentre una decina di cose più o meno antropomorfe cercano di dilaniarti in vari modi, ma senza diventerebbe decisamente noioso.
Il sistema di controllo non è straordinario, ma è proporzionato al livello di sfida e alle dinamiche dei nemici. Darkwatch non è pensato come multiplayer competitivo, ma per sparare a cose tendenzialmente ferme o lente, o comunque dagli spostamenti prevedibili, quindi alla fine tutto funziona come dovrebbe.
Le difficoltà sono quattro, e ce n’è davvero per tutti i gusti. Alla prima si è in un poligono di tiro semovente; morire è più difficile che vivere, se anche solo ci si prova. Alla seconda ce la si cava ancora egregiamente, ma in certi momenti bisogna stare attenti a come gestire la situazione. Alla terza il gioco è finibile, ma non senza sforzo, e si dovranno rigiocare alcune sezioni più volte per passarle. Alla quarta sono imprecazioni, di quelle serie e che al Papa non farebbe piacere sentire (non che tutte le altre lo divertano, immagino, ma comunque…).
L’unica cosa di Darkwatch ad essere veramente mal bilanciata è la battaglia con l’ultimo boss, che alle ultime due difficoltà non è impegnativa, è letteralmente tendente all’impossibile, e bisogna sia capire degli stratagemmi assurdi per evitare di essere colpiti da certi attacchi sia essere spaventosamente attenti (penultima difficoltà) o impeccabili (ultima) nell’esecuzione, per una decina di minuti abbondanti e trovandosi costantemente di fronte a cose nuove da schivare o incassare in qualche modo.
Un valore aggiunto inaspettato è la cooperativa locale. È inaspettato intanto perché su PS2 non molti FPS anche solo avevano una cooperativa, e in secondo luogo perché in quasi tutti si finiva solo per fare più casino che da soli. Qui il casino è parte del divertimento, quindi più gente che corre da tutte le parti facendo saltare per aria roba può essere solo un bene.
Io e un mio amico abbiamo finito in cooperativa Darkwatch almeno tre o quattro volte, l’ultima neanche un mese fa, e ci siamo veramente divertiti nel farlo. Un mese fa, nel 2013, a otto anni di distanza dall’uscita del gioco. Io ho una PS4 in casa, lui è una persona normale, non un fanatico del retrogaming o altro, eppure Darkwatch in cooperativa è riuscito, almeno per sei o sette ore in tutto, a passare sopra a otto anni di giochi e almeno una generazione di console. Un traguardo che non sottovaluterei.
L’unico vero grosso difetto di Darkwatch è che, soprattutto quando ci sono due giocatori in campo, certe situazioni mettono davvero in ginocchio la PS2. Ho l’impressione che per reggere i due giocatori il gioco venga già a prescindere eseguito con texture e modelli peggiori, ma potrebbe essere dovuto alla bassa risoluzione e al poco spazio offerto dallo split screen. In ogni caso, soprattutto quando la mappa è molto affollata, i 30 frame li si vede col binocolo, anche se non ho fatto studi scientifici su dove si arrivi effettivamente (direi poco sopra i 20, circa; davvero molto raramente sotto). La cosa non è comunque onnipresente, e – ancora più importante – non inficia il gioco una volta che ci si fa l’abitudine, visto appunto il ritmo non frenetico del grosso delle sezioni di fuoco e i tempi larghi per mirare e muoversi che l’IA lascia.
Non ho idea se la cosa migliori nella versione Xbox o magari giocando il disco PS2 su una PS3 Fat. Possibile, ma non ci scommetterei troppo. In alternativa c’è l’emulazione su PC, con risultati che però non mi azzardo a pronosticare.
In conclusione, Darkwatch non è un gioco perfetto, non è una “perla perduta” e non è di sicuro un capolavoro della storia dei videogiochi, ma è qualcosa che – in perfetto stile “era PS2” – si prefissa degli obiettivi limitati e chiari e li raggiunge in pieno. Motivo per cui ancora oggi ci si gioca volentieri da soli almeno una volta e ancora più volentieri con un amico.
Se lo trovate prendetelo, saranno (pochi) soldi ben spesi. E poi potrete sparare frecce esplosive con una balestra. E sì, i nemici colpiti si rendono conto di avere i secondi contati e iniziano a correre in giro nel panico più totale. Momenti inestimabili.