RetroGaming è una rubrica che guarda al passato dei videogiochi per rapportarlo al presente – in altre parole, pesco un vecchio gioco che conosco da più o meno tempo e cerco di analizzarlo sia inquadrandolo nella sua epoca storica sia mettendomi nei panni di doverlo giocare oggi come videogiocatore moderno. Esce alla domenica, con cadenza bisettimanale.
Sentendo le parole “Dungeon Crawler giapponese dei primi anni 2000”, tutti gli amanti dei bei combattimenti e delle migliori meccaniche di uno scontro all’arma bianca dovrebbero istintivamente voltarsi e fuggire tra grida di cieco terrore. Non so se dovrebbero farlo anche oggi, ma c’è un minimo margine per pensare di no.
Signore e signori, ecco a voi Dark Cloud, uno dei giochi più apparentemente normali ma in realtà più bizzarri che abbia mai visto. Tutto è possibile, qui.
A parte gli scherzi, Dark Cloud è davvero strutturalmente piuttosto strano, e non essendo neanche io un gran conoscitore di Dungeon Crawler giapponesi del secolo scorso faccio fatica a dargli una contestualizzazione storica esatta.
Ergo, vi dovrete accontentare del mio gretto tentativo di spiegare in parole povere cos’è, questo gioco.
Come ho detto, alle fondamenta Dark Cloud è un Dungeon Crawler: si entra in un livello ostile, si uccidono mostri, si raccolgono oggetti, si fa esperienza, ci si potenzia e via così, addentrandosi sempre più in profondità nei vari mondi fino a completarli. C’è dell’altro di importante da dire, ma per per non fare confusione preferisco togliermi questo aspetto tutto subito.
La prima nota positiva, almeno dal mio punto di vista, è che questo gioco non è per niente la quintessenza del grinding, e non obbliga a rigiocare ancora e ancora e ancora sempre gli stessi livelli per diventare abbastanza forti da superare i vari picchi di difficoltà che si incontrano procedendo. Non aspettatevi neanche la fiera della varietà, ma l’avanzamento è abbastanza spedito per un titolo di questo tipo, e più che accettabile anche per gli standard odierni.
Una caratteristica abbastanza unica di Dark Cloud è che uccidere mostri non fa salire di livello i personaggi, ma le loro armi. Le armi sono generiche (ovvero si trovano anch’esse in giro, le si compra e le si vende senza vincoli prestabiliti), e hanno un notevole set di statistiche: quattro valori che ne descrivono le capacità fondamentali (attacco, resistenza, velocità e forza magica), la potenza che contengono per i cinque elementi (fuoco, ghiaccio, tuono, vento e sacro) e altri bonus che le rendono più efficaci contro tipi specifici di nemici (ad esempio contro i draghi, contro le creature volanti, contro le creature di roccia, contro le piante ecc.).
Ogni volta che l’arma sale di livello ottiene d’ufficio un punto in tutte e quattro le statistiche fondamentali, ma le si possono assegnare, in degli slot appositi, oggetti che accrescono anche una caratteristica precisa (o più di una), che ad ogni aumento di livello vengono assorbiti e fusi per sempre nell’arma stessa: in questo modo l’arma assorbe man mano gli upgrade che le si assegnano, liberando ogni volta gli slot.
Appena un’arma arriva al livello 5 si può anche fare la curiosa scelta di tramutare essa stessa in un potenziamento pari al 60% di tutte le statistiche dell’arma stessa al momento della trasformazione, che verranno così sommate ad un’altra arma a cui la si assegnerà come normale potenziamento e che poi assorbirà.
Le armi, d’altra parte, possono anche rompersi, e questo è uno degli aspetti che vi terrà più occupati, anche più di salute e sete (se l’indicatore della sete va a zero iniziate a perdere vita; in giro ci sono fonti d’acqua che ripristinano entrambi, ma non è garantito che se ne trovino in ogni livello, quindi meglio girare con cure e acqua). Ad ogni colpo a segno (o sparato, per quelle a distanza) la “salute” dell’arma cala, e se arriva a zero, molto semplicemente, sparisce. Per sempre, puff, andata. Visto che ovviamente volete evitarlo, dovrete portare con voi ampie dosi di polvere riparatrice, da usare per ripristinare i punti vita dell’equipaggiamento ogni volta che lo riterrete opportuno (volete colpire ancora una volta e rischiare che si rompa, oppure sprecare quei 7 punti residui di vita?).
Quando un’arma raggiunge un valore minimo in alcune caratteristiche predeterminate, poi, la si può fare evolvere, cioè trasformarla in un’altra arma con le stesse esatte statistiche della vecchia ma con un tetto più alto ai valori che possono raggiungere. Questa struttura di trasformazioni suona molto interessante sulla carta, ma a conti fatti è forse la parte più deludente dell’impianto, perché la nuova arma di diverso ha quasi sempre solo l’aspetto e appunto il cap… quindi, di fatto, il vostro grinding viene premiato con nuove e maggiori possibilità di grinding.
Parlando sempre dei dungeon, una caratteristica interessante è che vengono generati casualmente ogni volta che ci si entra, quindi di fatto non vedrete mai due volte la stessa esatta mappa con gli stessi esatti nemici. L’altra faccia di tutto questo è che vedrete molto spesso gli stessi corridoi, le stesse stanze e gli stessi nemici, anche se in posizioni e combinazioni leggermente diversi. Anche alcuni livelli con vincoli speciali (come “devi usare questo personaggio”, o “le armi perdono esperienza invece di guadagnarne”) vengono posizionati con un po’ di libertà ad ogni partita, ma la struttura generale dell’avventura è pre-determinata, quindi non è che questo aggiunga in sé una gran rigiocabilità.
Spiegando rapidamente la trama, un generale bramoso di potere risvegliare il Genio Oscuro, un’antica e potentissima creatura, con l’intenzione di usarlo per controllare il mondo. Il Genio semina quindi la distruzione ovunque, ma interviene il Re delle Fate: racchiude le case, le cose e le persone in delle sfere, chiamate “atla”, per evitare che il Genio le distrugga, poi incarica il protagonista, un giovane di nome Toan, di aprire le atla grazie ad una pietra magica che gli dona, ricostruire il mondo e fermare il Genio Oscuro. Il ragazzo, come da copione, viaggia in lungo e in largo, risolvendo le questioni locali e facendosi nuovi alleati, fino alla battaglia finale contro un essere che assume varie forme più o meno simili ad una versione satanista dei Digimon.
La trama ha qualche sviluppo, anche inaspettato, ma sinceramente non me la sento di consigliare il gioco basandomi solo su quella: è una favola decente – una favola giapponese, con gatti tramutati senza apparente ragione in persone, tizi i cui capelli gridano “Final Fantasy” e una comparsata di Jeeg Robot -, ma con dialoghi molto banali e telefonati, quantità industriali di stereotipi e nessun vero tentativo di costruire un discorso su temi seri o davvero profondi.
Ha però enormi “ripercussioni”, per così dire, sul gameplay, e su quello che si deve di fatto fare nel gioco. In ogni livello dei dungeon, oltre ad una chiave per sbloccare il livello successivo, i nemici e gli oggetti, sono sparse proprio le atla, che Toan deve recuperare per poi restaurare il mondo esterno.
E no, la ricostruzione non è automatica o predefinita. Benvenuti nella fase due di Dark Cloud, in cui dovete ricomporre una città posizionandola pezzo per pezzo (se possibile stando anche dietro alle pretese di posizione, vicinanza e lontananza dei vari abitanti).
Il grosso del gioco, ormai, dovreste averlo capito: si va nei dungeon per recuperare i pezzi del mondo corrispondente, lo si assembla e si dà vita ad una piccola serie di cause ed effetti con quello che sbloccano gli abitanti, in modo da farvi proseguire oltre un punto specifico del dungeon. L’alternanza delle due fasi e la loro uguale importanza nell’economia generale aiutano molto a dare spessore al gioco, se non altro perché non si fa mai niente di fine a se stesso (ok, A serve a B e B serve ad A, ma la mente umana è semplice e facilmente ingannata…).
Segnalo, inaspettatamente, un uso sporadico di QTE per affrontare particolari avversari o situazioni. Sono molto facili, da metà in poi il gioco stesso sembra dimenticare che potrebbe farne uso ogni tanto e sembrerebbero quasi fuori posto, se non che tutto il resto dell’ensemble non è già di suo esattamente scontato e visto centinaia di volte.
Ah, e si può pescare. Non c’entra una mazza con tutto il resto, ma si può pescare. Immagino sia sempre meglio che non poter pescare, giusto?
Ora, detto questo (e risparmiandovi noiosi discorsi da storico sulla grafica e le scelte fatte riguardo ad essa, con cui non penso vogliate iniziare la domenica), la domanda fondamentale è: vale la pena di giocare a Dark Cloud? Come sono le micro-dinamiche, come sono i controlli, com’è la varietà di personaggi e nemici? C’è abbastanza da vedere e da fare da valere le ore che inevitabilmente bisogna metterci per terminarlo?
Cercando di essere il più onesto che posso e guardando al gioco e basta, direi che Dark Cloud fa assolutamente tutto bene, ma niente benissimo.
Il combattimento è funzionale, i personaggi del party combattono in modi ben distinti e gli effetti degli upgrade si sentono, ma resta molto basilare e ha ovvi limiti in termini di meccaniche e profondità. Il grinding non è pesante, ma la ripetitività di ambienti e nemici è notevole. Le parti di costruzione della città sono ben realizzate, ma in pratica non è che si possa fare poi molto. Le città in cui ci si sposta coi relativi dungeon sono ben caratterizzate, ma si notano presto degli schemi ricorrenti. I personaggi nel complesso sono ok, ma alcuni sono abbastanza tirati per i capelli e narrativamente a malapena giustificati (e nessuno sembra avere una personalità che vada oltre un’unica emozione per volta, o direttamente la mancanza completa di emozioni). La musica parte molto bene, poi diventa un sottofondo monotono per il resto del gioco, salvo riaffiorare di tanto in tanto nei momenti più fatidici. Le boss fight non sono uno strazio, ma sono quasi tutte legate all’idea di exploitare fino all’infinito uno schema fisso o addirittura un’ovvia carenza dell’IA.
Per finire, in giro ci sono alcuni bug e palesi difetti, sia visivi (movimenti strani durante le cinematiche, soprattutto) che di gameplay. Per esempio, per proseguire in una “quest” opzionale dando a qualcuno un oggetto dovete pescare una congiunzione di circostanze notevole, o non lo troverete mai più all’interno di casa sua e non potrete farlo. Il drop di un oggetto legato all’ultimo dungeon, che a logica non dovrebbe essere eccessivamente difficile da incontrare, è talmente mal tarato che circolano leggende (non verificate) secondo cui esso non esista affatto, o esista nelle versioni del gioco di alcuni Paesi e non di altri. Queste due sono vecchie per chi conosce il gioco, ma se ne volete una inedita che ho incontrato personalmente, una volta ho aperto un forziere mentre ero avvelenato, il forziere mi ha colpito con una trappola al veleno e… mi è passato l’avvelenamento.
La morale, per come la vedo io, è che Dark Cloud è un gioco massiccio e competente, capace di prendere per originalità e un po’ per quel senso di “voglio vedere cosa succede dopo”, ma se il genere vi convince poco in partenza non sono sicuro che reggerete all’idea di passare più di 100 livelli di dungeon con un sistema di combattimento a un bottone. Quindi, assolutamente consigliato a chi è anche solo un po’ giapponofilo, consigliato al videogiocatore su PS2 medio, ma non completamente consigliato anche al videogiocatore medio di oggi.
In ogni caso, una PS2 è quello di cui avrete bisogno, perché Dark Cloud era un’esclusiva e tale è rimasta. Potrebbe anche non essere facilissimo da trovare, e nel caso potrebbe costare anche sui 20-25€, perché appunto è abbastanza raro oggigiorno. Al GameStop, d’altra parte, smerciano tutto l’usato su PS2 per 5-10€, quindi con un po’ di fortuna potrebbe non essere tragica come la sto prospettando.
Segnalo che esiste anche un “sequel spirituale” di Dark Cloud intitolato Dark Chronicle, uscito sempre su PS2, che dovrebbe seguire bene o male le stesse meccaniche ma che non ho mai visto personalmente o giocato, quindi non mi sbilancio oltre.
Beh, qui le nostre strade si dividono. Almeno fino al prossimo articolo.
[…] dagli Strategy a doppia scala ai Racer Arcade, dagli RPG ai Fighting game, dai Platform ai Dungeon Crawler giapponesi, omaggiando qualche titolo cult, dissotterrando piccole perle quasi dimenticate, sostando per una o […]
[…] Ah, e ovviamente c’è una durabilità per ogni oggetto, che addirittura cala lentamente per il solo avere indosso l’equipaggiamento – grazie, From Software. Anche quella, fortunatamente, dopo le prime fasi di gioco smette completamente di essere d’intralcio, e non va neanche vicino ai livelli di fastidio incontrati in Dark Cloud. […]
[…] Del primo, che per fortuna conoscevo già ma di cui purtroppo non avevo più una copia in casa da anni, ho parlato la volta scorsa. […]