RetroGaming è una rubrica che guarda al passato dei videogiochi per rapportarlo al presente – in altre parole, pesco un vecchio gioco che conosco da più o meno tempo e cerco di analizzarlo sia inquadrandolo nella sua epoca storica sia mettendomi nei panni di doverlo giocare oggi come videogiocatore moderno. Esce alla domenica, con cadenza bisettimanale.
Il lungo sentiero che gli RPG hanno attraversato nel corso della storia ha ad un certo punto imboccato una strada apparentemente quasi fuori luogo, ma destinata a sopravvivere fino ad oggi. Siamo più precisamente nel 1996, quando esce su PC Diablo.
Per farla molto breve e semplice, Diablo consacra l’idea di un gameplay bastato fondamentalmente sull’avanzare, uccidere miriadi di nemici, raccogliere equipaggiamenti, aumentare di livello e apprendere nuovi poteri… in modo un po’ fine a se stesso. La parte curiosa infatti è non tanto che questo aspetto della partita venga espanso (livelli e loot esistevano da sempre negli RPG), ma che lo sia al punto di soffocare quasi completamente tutti gli altri: la storia è minimale, le “quest” sono sostanzialmente frecce che indicano l’unica strada che porta avanti e i sistemi di statistiche, poteri e abilità sono “semplificati” per convertire tutto in un codice più immediato e funzionale ad una partita single-player che possa prevedere un personaggio di tipi anche molto diversi.
Non voglio andare troppo a fondo in questioni di carattere storico, mi basta farvi sapere che il modello di Diablo viene in seguito ulteriormente “semplificato” e che il gameplay viene trasformato in quello di un Action completamente in tempo reale, il tutto per portarlo nella forma più pratica possibile su console. È il 2001, ed esce su PS2 e Xbox Baldur’s Gate: Dark Alliance, uno spin-off dei ben più “tradizionali” RPG di Bioware, sviluppato da Snowblind Studios.
Il titolo deve avere convinto parecchio Sony, perché poco dopo l’azienda giapponese ingaggia Snowblind per creare un altro titolo molto simile al precedente (e con addirittura la stessa esatta engine), ma questa volta esclusivo per PS2 e pubblicato da Sony stessa. Si tratta di Champions of Norrath.
Per prima cosa, è bene che sappiate che non ho giocato a Dark Alliance, ergo fare paragoni tra i due mi sarebbe un tantino difficile. Questo è il motivo per cui non ne vedrete nessuno.
Secondo, uno dei “punti forti” di Champions of Norrath era permettere di giocare in cooperativa online. Sì, su PS2. Il che deve essere stato piuttosto sorprendente per l’epoca, ma, come potete immaginare, non mi sarebbe esattamente facile testare personalmente questa funzionalità oggi. Non conosco neanche altre persone con il tempo e la costanza di durare un’intera partita in cooperativa ad un RPG simile, quindi non ho potuto neanche semplicemente giocare in locale, modalità che Champions of Norrath supporta (fino a 4 giocatori col multitap).
Faccio tante precisazioni ora perché non ho alcun dubbio che fatto in più persone il gioco possa diventare facilmente migliore, o anche solo più motivante. Sta di fatto che io l’ho giocato tutto da solo, e questa è la mia esperienza con esso.
Il problema più grosso, immediato ed evidente del titolo è che la cosa che si fa per il 95% del tempo, cioè combattere, è incredibilmente semplicistica e piatta.
Si ha un solo bottone d’attacco, e non si possono neanche caricare i colpi: il grosso degli scontri si affrontano premendo a ripetizione finché la battaglia non è finita. Si può bloccare (R1), ma non si può parare o contrattaccare (o almeno, normalmente non si può; il nome di un’abilità molto avanzata di una classe mi suggerisce che esista qualcosa di simile, ma è una parte del gioco che statisticamente semplicemente non incontrerete, e anche nel caso non nutrirei molte speranze), quindi bloccare serve solo contro avversari con un pattern di attacco molto ovvio e lento, oppure a dare il tempo alle pozioni che ingerite di fare effetto.
Ho detto che il grosso degli scontri si affrontano spammando , perché ce n’è infatti una piccola parte che si affronta spammando ed R2, il tasto rapido per la pozione di salute, e magari correndo un po’ in tondo o parando con la schiena al muro. La salute del personaggio si rigenera sempre da sola, ma molto lentamente, motivo per cui in mezzo ad uno scontro conviene usare una pozione ed accelerare il processo; il problema è che anche le pozioni non sono ad effetto istantaneo, anzi, quando avanti nella partita la vostra salute massima è cresciuta molto possono impiegare svariati secondi a riempirla effettivamente dopo averle bevute.
C’è infine, ovviamente, un sistema di magie, abilità varie che si sbloccano salendo di livello e che quando vengono usate consumano mana… solo che, anche qui, il grosso causa semplicemente danni diretti, quindi il risultato è di avere aggiunto un po’ di spammo di , (tasti rapidi per le magie) e L2 (pozione di mana). Alcune classi sembrano più interessanti e varie di altre, ma avendolo almeno provato (non finito) nel corso degli anni con ben tre personaggi diversi, posso confermare che scegliere qualcuno un po’ più mago che combattente non trasforma di colpo il gioco in tutt’altra cosa.
I comandi in sé non suonano troppo gravi, e probabilmente non lo sono, ma è tutto il sistema che non mi convince molto. Per come il combattimento è di fatto tarato l’unica “tattica” possibile è camperare o scappare mentre vi rigenerate le ferite e poi tornare a colpire avversari che se sapessero giocare decentemente vi farebbero palesemente a pezzi (perché, negli altri casi, spammare basta e avanza; di solito c’è un salto enorme tra nemici deboli e forti).
A pensarci meglio, il fulcro del problema non è davvero tanto nelle poche opzioni d’azione o nella loro varietà, ma nei tempi: tutti i movimenti, vostri e dei nemici, sono estremamente rigidi, e non c’è scappatoia dal finire in un muro contro muro, ma soprattutto quasi nessun attacco di nessuno storidisce o rallenta, si ferisce soltanto. Non aiuta che le armi da tiro siano piuttosto scomode da usare e che è in azione una folle meccanica per cui alcuni dei colpi a distanza sparati, arbitrariamente, si dissolvono semplicemente in polvere all’impatto col bersaglio invece di ferirlo (cosa che vale anche per voi, se potenziate la relativa abilità passiva).
E se il combattimento non convince particolarmente, neanche il contorno ci mette molto del suo. Gli equipaggiamenti sono tutti piuttosto anonimi, con pochissime statistiche in uso ed eventuali effetti extra che quasi sempre sono solo bonus ulteriori al profilo del personaggio, e raramente sono tipi di danno diversi dal solito. L’interfaccia dell’inventario è dannatamente carente: il gioco è privo di qualsiasi strumento di confronto di statistiche, diversi ninnoli hanno immagini identiche e vengono tutti disposti e rimescolati alla rinfusa senza possibilità di riorganizzazione manuale, quindi ad un certo punto diventa difficile anche solo tenere traccia di cosa si ha nella borsa, ma soprattutto non si legge nulla di un oggetto a parte il nome finché non lo si ha raccolto, e visto che c’è un peso massimo trasportabile potreste essere costretti a buttare via e poi ri-raccogliere altre cose solo per sapere se vi trovate davanti a del pattume o all’arma più forte dell’universo.
Per chiudere il cerchio delle lamentele maggiori, la trama è a sua volta davvero piatta e anonima, e il vostro personaggio ha il carisma e la personalità di un ceppo d’albero: non dice una sola parola nel corso di tutta la partita, e fa compulsivamente qualsiasi cosa gli venga chiesta da chiunque. Se sei letteralmente l’ultima speranza per salvare il mondo dalla distruzione e perdi tempo prendendo ordini dalla bambina più viziata e odiosa della storia, nientemeno che per ritrovare dei gatti mentre dei ghoul cercano di disossarti vivo, dovresti davvero fermarti a riflettere sulle tue proprità.
Quindi, se sono così negativo, perché in fondo non direi che Champions of Norrath non va giocato e basta? Beh, per cominciare, come panoramica su un universo fantasy non è male; ad eccezione del primo mondo, che è sia il più telefonato e monotono sia il più frustrante da giocare, si incontra una buona varietà di scenari e creature, alcuni piuttosto interessanti, e niente continua a riproporsi uguale fino alla noia. Non è neanche troppo difficile andare avanti, è più che altro tutto lavoro meccanico, e c’è un po’ quel gusto del fare fuori una stanza piena di nemici dopo l’altra, in certi punti. I boss sono tendenzialmente piatti come il resto degli avversari, ma per un paio c’è la possibilità di adottare qualche tattica diversa dal solito, e anche quello aiuta.
Il reparto tecnico è una grossa questione a parte, con molti alti e alcuni bassi. La grafica in sé per un titolo per PS2 era veramente notevole, e alcuni effetti (acqua mossa in tempo reale, o comunque un’imitazione del fenomeno) spiccano in particolare; d’altra parte, però, in alcuni dungeon ottimizzati peggio il frame rate subisce occasionalmente dei cali evidenti, c’è del pop-in di pezzi dell’ambiente e a volte la console sembra addirittura uscire dai cicli di calcolo standard, allungando a dismisura il tempo necessario per passare dall’inventario al gioco in tempo reale e viceversa, in casi estremamente eccezionali anche fino a 20-30 secondi (il che si somma all’impossibilità di sapere nulla di un oggetto se non raccogliendolo e aprendo l’inventario…).
Champions of Norrath, in definitiva, non fa praticamente niente di davvero degno di essere ricordato singolarmente. È una delle applicazioni più scolastiche e meno ispirate immaginabili dei concetti dietro al suo genere; ma nonostante tutto non sbaglia niente di troppo grave da auto-distruggersi, e si mantiene abbastanza fresco per tutto il tempo, pur mostrando sempre i propri limiti in tutto.
In sostanza, quindi, questo è un ottimo esempio di un gioco che non ci sono incredibili ragioni per voler giocare, ma in fondo neanche per non voler giocare. Se avete una ventina di ore da passare, potrebbe andare peggio di così. E se avete qualcun altro con cui giocare, chissà, magari un po’ migliora.
Segnalo che esiste anche un sequel, intitolato Champions: Return to Arms, ma non l’ho mai visto né ne so nulla. Forse un giorno, chissà. Forse un giorno.
Alla prossima.