Infamous: Second Son

Enjoy Your Power

 

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Infamous: Second Son, a dispetto del titolo, è il terzo capitolo della saga di Infamous, iniziata su PS3 nel 2009. È un action open-world molto focalizzato sul combattimento, con protagonista un ragazzo che si trova improvvisamente dotato di poteri sovrumani in un mondo che non accetta le persone come lui, e con davanti la scelta di come presentarsi a questo mondo, se come eroe o mostro sanguinario.

Serve aver giocato i precedenti capitoli della serie per capire questo? No, decisamente no, perché i personaggi sono tutti dal primo all’ultimo nuovi e le due vicende non sono collegate se non per il fatto di essere ambientate nello stesso universo. Conoscerli probabilmente aiuta a capire meglio il background, cioè tutto ciò che ruota intorno alla presenza di persone con dei superpoteri, che qui in effetti viene spiegato di sfuggita, e a trovarsi subito più a mano con la formula base del gameplay, ma per il resto Second Son è completamente a sé stante.

 

Come al solito, tutte le immagini contenute nella recensione sono screenshot realizzati da me medesimo grazie alla funzione Share di PS4. Non lo continuo a ripetere in ogni recensione per farle pubblicità, ma per evidenziare che in quanto tali rappresentano la grafica reale del gioco, non materiale promozionale di dubbia provenienza. E oggi più che in altri casi ce n’è bisogno.

 

Nuovo conduit, vecchi comandi

Il gameplay di Second Son è molto simile a quello dei capitoli precedenti. Il gioco è tutto in terza persona: Delsin si muove, salta e attacca liberamente, senza azioni circostanziali (tranne quelle di interazioni con oggetti particolari), alla vecchia maniera. La pulsantiera è molto tradizionale: ci si muove con la levetta sinista e si gira la telecamera con la destra, si salta con Tasto X PS3, si attacca in corpo a corpo con Tasto quadrato PS3, si spara con “Tasto R2 PS3” e si entra in mira precisa con Tasto L2 PS3.

 

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Delsin, indipendentemente dai poteri, ha delle notevoli abilità di scalata, che gli permettono in mancanza d’altro di arrampicarsi un po’ alla Assassin’s Creed su palazzi, tubi e pali. Niente di già visto per chi ha giocato ai precedenti capitoli, ma le cose un po’ danno l’impressione di essere migliorate, soprattutto sotto il profilo manovrabilità: si ha meno la sensazione di venire “attratti” verso ogni spigolo afferrabile, e non serve più lottare contro quella forza invisibile per riuscire a scendere da qualcosa senza fare cento passaggi.

Gli sviluppatori si sono anche sbizzarriti con le possibilità del Dualshock 4; il touchpad è usato molto, a volte come semplice tasto da premere (ad esempio per assorbire gli elementi) altre strisciandosi sopra un dito per compiere certe azioni particolari (aprire una porta, distruggere una torretta automatica).

C’è anche spazio per il giroscopio contenuto nel controller, più precisamente quando si devono disegnare dei graffiti, dato che a muovere il “mirino” della bomboletta è prorpio l’angolazione del controller. Occasionalmente sono incappato in qualche difficoltà a tenere in controller in posizione umana per mirare dove necessario (non c’è un tasto “resetta puntatore”, quindi se iniziate a disegnare mentre siete storti col corpo o le mani storti dovete rimanete), ma la cosa è perdonabile perché è un’attività assolutamente senza fretta o inconvenienti possibili; meglio “originale” e imperfetta che usare la levetta e renderla a prova di idiota. Qualcuno penserà “meglio ancora senza niente”, ma… è lì. E i disegni dei graffiti di solito sono davvero carini.

 

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Passando al fulcro del gioco, a differenza del passato Delsin non ha un unico potere, ma diversi, che è costretto ad alternare. Il potere “attivo” di Delsin è sempre uno solo, ha una propria carica che si consuma sparando o usando alcune delle abilità ad esso legato e per ricaricarlo si deve assorbire dall’ambiente una dose dell’elemento corrispondente (quindi, per esempio, se si ha equipaggiato il fumo si deve trovare un comignolo, un’auto col motore in fiamme, un falò o simile). Se si vuole cambiare potere non basta premere un tasto, bisogna trovare un diverso elemento nell’ambiente: in sostanza Delsin non “mette da parte” gli elementi, e l’ultima ricarica fatta cancella sempre tutto quello che c’era prima.

I poteri presenti nel gioco sono quattro e vengono man mano sbloccati avanzando nella storia. Due di essi sono stati sbandierati per mesi dagli sviluppatori (fumo e neon), mentre gli altri due sono stati tenuti in gran segreto fino all’ultimo. Non ve li rivelerò e non entrerò nei dettagli per non rovinarvi la sorpresa, ma qualche parola sul loro senso nell’economia del gioco dovrò comunque mettercela.

 

Avere un potere piuttosto che un altro non cambia radicalmente il controllo di Delsin, perché le azioni fondamentali (attacco in corpo a corpo, sparare, planare), seppur leggermente modificare in efficacia e caratteristiche, rimangono sempre. Ogni potere ha un colpo a distanza secondario unico usato con Tasto R1 PS3, che consuma una carica propria speciale e non la barra dell’elemento (ma che si ricarica anch’essa con tutto il resto). A poter cambiare, anche di molto, sono invece l’abilità di movimento eseguita con ​Tasto cerchio PS3 e quella “di supporto” assegnata ad Tasto L1 PS3. La bomba karmica (​Freccetta giù PS3), seppur tecnicamente diversa caso per caso, ha sempre come risultato la devastazione di tutto quello che vi sta intorno.

 

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Il fumo in combattimento è l’elemento più bilanciato, ma perde molto di efficacia sulla lunga distanza. Il neon è al contrario estremamente preciso e può colpire a gittate ben maggiori, ma ha un rateo di fuoco ridotto e offre meno possibilità di causare danni ad area. Il terzo potere è il più particolare, e tra le altre cose permette di diventare momentaneamente invisibili. Il quarto è quello che causa più danni di tutti, ma ha meno carica degli altri e ricaricarlo è più complicato (e lo si ottiene praticamente a storia finita, da usare dopo per completare le cose secondarie lasciate indietro o per cazzeggiare).

I poteri non si usano solo per combattere, ma anche per viaggiare più rapidamente. Il fumo permette a Delsin di attraversare con un breve scatto il grosso degli ostacoli scivolandoci intorno (o attraverso, come nel caso di una grata) e soprattutto lo fa viaggiare istantaneamente in verticale lungo i condotti d’areazione. Il neon è quello con cui ci si sposta più velocemente in assoluto, perché fa traslare Delsin a grande velocità su tutte le superfici, anche in verticale; lo svantaggio è che non offre particolare elevazione nel momento in cui ci si deve staccare da una parete solida, ed è qui che entra in azione il terzo potere, di cui però non dico altro o finirei per forza per parlare troppo. Il quarto potere accelera un po’ la corsa e permette di sollevarsi molto da terra con l’abilità di planata (ex “spinte statiche” da Infamous 1 e 2).

 

Vietato fumare

Una buona parte del gioco è incentrata sui combattimenti, che meritano un approfondimento maggiore.

 

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I nemici sono quasi tutti equipaggiati con armi da fuoco, ma molti hanno anche poteri conduit a loro volta. C’è varietà nei tipi, ma più che “varietà” sarebbe forse il caso di dire “difficoltà”, perché alla fine non servono tattiche particolari per nessuno, basta far loro più male possibile senza farsi ammazzare. Ci sono anche dei mezzi blindati e degli elicotteri, che come gli altri vanno giù dopo aver subito un certo quantitativo di danni, e delle torrette automatiche da distruggere andando loro dietro e strisciando verso l’alto sul touchpad.

La banalità appartente dei combattimenti è bilanciata dal funzionamento dei poteri di Delsin. Bisogna costantemente spostarsi (non c’è nessun sistema di coperture) per non farsi uccidere e intanto riuscire a danneggiare gli avversari, con un occhio sempre aperto anche all’ambiente circostante. La vita si recupera da sola dopo un po’ che non si viene feriti, oppure subito quando si assorbe un elemento.

Anche i nemici, dal canto loro, si muovono parecchio. I semplici militari a piedi cambiano posizione, ma sono soprattutto i soldati dotati di poteri a saltare da tutte le parti e in certi casi a costruirsi delle piattaforme prominenti dal muro di un edificio su cui piazzarsi. Le abilità degli avversari sono diverse, ma nel caos dello scontro non servono tante raffinatezze. Alcuni tirano bombe di cemento, altri lanciano una sorta di pompata, altri ancora cercano di intrappolarvi e quelli più grossi producono onde di detriti. Non mancano anche soldati con armamenti molto pesanti (gatling), e gli elicotteri sono equipaggiati con razzi.

 

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I combattimenti di Second Son non sono sicuramente “tattici”, e forse non sono neanche aggraziati in quello che si cerca di fare; c’è tanta improvvisazione, istinto, potenza bruta. Non sono paticolarmente vari, e una volta capiti i fondamentali sono anche decisamente facili: in una delle mie due partite ho finito il gioco all’ultima difficoltà potenziando il minimo sindacale e morendo una mezza dozzina di volte, praticamente tutte durante la battaglia finale. Ma sono sempre molto coinvolgenti, e divertenti. Sparare a qualcuno dà soddisfazione, e quando si colpisce con attacchi pesanti le conseguenze sia sugli avversari che su quel che li circonda si sentono. Il discreto numero di nemici che si affronta di solito e la parziale distruttibilità degli ambienti apre a sconti occasionalmente epici.

 

L’IA dei nemici è molto basilare, quanto basta per asservire allo scopo: spararvi. Riesce però ad essere talmente basilare che persino in questo contesto fa delle figuracce. Se qualcuno vi nota o no prima che lo scontro inizi è molto aleatorio, non ho ancora ben capito che logica segua; certo, se usate i poteri bellamente davanti a qualcuno vi attaccherà, ma ci sono tante vie di mezzo che non mi quadrano molto. Potete ad esempio saltare su un blindato del DUP (la polizia anti-conduit) e farvi scarrozzare senza che nessuno dica niente, ma se provate per una frazione di secondo ad usare la planata anche a venti metri da esso verrete bersagliati all’istante.

I soldati ragionano ognuno per sé senza curarsi di ciò che sta loro intorno, arrivando al punto di potersi colpire e uccidere a vicenda per sbaglio o persino uccidere se stessi facendo esplodere qualcosa di vicino o crollare il piano su cui si trovano. Sono eventi rari, ma sono parecchio brutti. In un paio di occasioni uscire dalla loro linea di vista mi è bastato a seminarli e mandarli nel panico, facendo loro guardare ossessivamente a destra e a sinistra aspettando che ricomparissi, anche se una qualunque persona avrebbe saputo almeno dove andare a cercare prima di dire che effettivamente ero sparito. Per come sono impostati i combattimenti, e più in generale il gioco, tutto questo non è gravissimo, ma non è credibile per niente ed è anche una delle ragioni dietro alla facilità del gioco.

 

Il bravo e il cattivo ragazzo

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Marchio di fabbrica di Infamous è da sempre la possibilità di scegliere se giocare “da buoni” o “da cattivi”, concetto concretizzato nel karma. Rispetto ai vecchi capitoli le scelte karmiche legate alla trama sono meno e sono tutte connesse allo svolgimento degli eventi principali, questo perché… non ci sono vere “missioni” secondarie. Ma a questo arrivo più avanti.

La prima scelta arriva a pochi minuti dall’inizio, e anche se non determina veramente il corso degli eventi traccia il solco da lì in avanti. Si può ancora scegliere contro il proprio karma, ma ha – se possibile – ancora meno senso che in Infamous 1 e 2, perché tutto prende una piega coerente in base al sentiero scelto, anche in termini di gameplay.

 

Il ridotto numero di momenti di vera scelta può sembrare come una limitazione, ma il risultato è quello di creare un ambiente più “controllato” in cui in effetti i due possibili risultati finali sono decisamente diversi e allo stesso tempo entrambi decisamente sensati. Da questo punto di vista, per quanto suoni strano, Second Son mi ha ricordato più i titoli di Quantic Dream che gli altri Infamous, e non lo dico affatto in senso dispregiativo, ma solo per quel che vuol dire: la trama dà la sensazione di cambiare di più in base al karma scelto, quando in realtà non cambia quasi per niente.

Il motivo è semplice: Delsin e il suo lato umano sono molto più al centro della vicenda di quanto non fosse per Cole. Infamous 1 e 2 erano la storia di come tale Cole McGrath fa ciò che fa nel modo in cui decide di farlo, Second Son è la storia di come Delsin Rowe acquista i propri poteri e decide di usarli, plasmando il mondo intorno a sé secondo il proprio carattere. Può sembrare una differenza sottile, ma non penso lo sia, e si nota giocando.

 

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Nel prossimo capoverso racconto i primi venti minuti circa di gioco; se proprio non volete sapere nulla passate direttamente dopo.

Delsin è un indiano Akomish che rimane coinvolto nella fuga da un mezzo blindato di tre “bio-terroristi” e accidentalmente, toccandone uno, scopre di avere la capacità di assimilare il potere di altri conduit. Quando il DUP raggiunge il luogo dell’incidente (cioè il villaggio di Delsin) la sua direttrice Augustine, a sua volta una potente conduit, ferisce tutta la comunità cercando di scoprire se Delsin è in realtà in combutta coi conduit. Tutti gli Akomish tranne Delsin stesso e suo fratello Reggie vengono feriti, e moriranno se non verranno curati con lo stesso potere usato da Augustine. Delsin, sentendosi in colpa per quanto successo, parte quindi alla volta di Seattle col fratello per affrontarla e salvare la propria gente.

 

Come dicevo prima, la trama non cambia veramente in base alle scelte karmiche fatte, nel senso che le tappe fondamentali del gioco sono tutte rispettate comunque. A cambiare sono due missioni, diverse a seconda del proprio allineamento, e il senso che le azioni di Delsin donano agli eventi. È un esercizio molto interessante, che credo vada oltre il solo “eccovi due varianti della trama, provatele entrambe se vi va”; Second Son guadagna molto se lo si gioca in entrambi i modi, anche più degli scorsi titoli, perché Delsin è appunto il vero centro degli eventi, e il gioco mette perfettamente in evidenza come le azioni di un solo uomo possono portare ad esiti diversi a seconda delle sue scelte.

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Il karma ha però anche degli effetti pratici sul gioco. Per prima cosa, come da tradizione, altera in parte l’albero dei potenziamenti – devo dire in modo intelligente, perché i diversi effetti che si possono sbloccare sono in entrambi i casi comodi e coerenti con la linea karmica da seguire (il karma positivo è più preciso e potente, quello negativo è più caotico e violento).

A cambiare è anche il modo in cui Delsin accumula le bombe karmiche. La bomba karmica è un attacco speciale pensato per fare piazza pulita di tutto quello che c’è intorno, è dannatamente potente ma l’unico modo di usarlo è agire secondo karma, e una volta consumato bisogna ricaricare un altro colpo. La via del bene accumula una serie di tacche ogni volta che si esegue un’azione positiva (immobilizzare non-letalmente un avversario, curare un cittadino ferito, compiere un’azione generica legata al karma positivo), che si resettano nel caso si compia un’azione negativa (uccidere un innocente, finire un nemico già indifeso, compiere azioni generiche legate al karma negativo). Se si ha invece scelto la via del male bisogna sostanzialmente accumulare una combo con un certo tempo prima di perderla e dover ricominciare.

 

Il lavoro fatto per caratterizzare i due karma, in particolare quello negativo, è encomiabile. Spesso uccidere con esso un nemico lo fa dissolvere nell’aria, e nel caso di passanti innocenti o nemici deboli è possibile dare il via ad una reazione a catena spontanea di morti in questo modo. Essere cattivi non premia solo il fare danni, lo facilita al punto in cui bisogna stare più attenti a non farne che a farne, e questo rende più facile farsi trascinare nello spirito giusto, altrimenti penso innaturale per il grosso delle persone.

 

La città vera è meno vera di quelle finte?

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Prologo a parte, che si svolge in un paio di ambienti poi non più visitabili e che serve sostanzialmente come tutorial, tutto il gioco ha luogo in una Seattle spaccata in due zone, la seconda delle quali viene sbloccata circa a metà partita. La mappa è amche suddivisa un una quindicina di aree, oguna delle quali può essere liberata dal DUP, le forze di sicurezza anti-conduit; bisogna prima distruggere il centro di comando mobile presente nel quartiere, al che diventa possibile svolgere alcune attività secondarie e, dopo averne completate a sufficienza, si può combattere una battaglia per scacciare gli occupanti definitivamente.

La gestione della città, sia sotto questo aspetto che sotto altri di cui parlerò fra poco, è sicuramente il punto più debole del gioco. Gli attacchi ai centri di comando mobili sono cariche frontali; che per come è impostato il gameplay ci stanno, ma non variano molto. Gli altri incarichi sono di soli quattro tipi (trova la telecamera nascosta, trova l’infiltrato, recupera il file audio, fai il graffito) senza mai nessuna eccezione o variazione e, ancora più importante, sono terribilmente basilari e facili. Il grosso di essi si completa, e non esagero, in un tempo inferiore ai 30 secondi, alcuni in 5-10 (le telecamere sono posizionate tutte a qualche metro da voi e in piena vista). Le battaglie finali per ogni zona, per quanto cambino di difficoltà, sono nuovamente solo un assalto frontale su un gruppo di tetti.

C’è anche (poco) altro da fare in giro. Si devono raccogliere dei frammenti di esplosione, piazzati su piccoli droni da ricognizione, che servono a potenziare le abilità di Delsin (sono l’unica cosa necessaria, a parte l’allineamento karmico su certe abilità); si possono compiere alcune azioni karmiche basilari, come rovinare la festa agli spacciatori di droga, liberare i sospettati dalle gabbie del DUP, curare passanti feriti (buone) oppure disperdere manifestazioni, attaccare poliziotti e membri della gang anti-conduit degli akulani, eliminare suonatori di strada e uomini-insegna (cattive). Il fatto è che anch’esse non beneficiano di nessun tipo di varietà, sono tutte sempre segnate chiaramente nella mappa (anche i frammenti) e sono spudoratamente facili. Le azioni karmiche sono poi praticamente inutili, dato che solo combattendo consonamente al proprio allineamento si accumula karma a volontà e che le scelte delle missioni rivestono un’importanza enorme.

 

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La mappa non è particolarmente grande; cioè, è grandina se la si prende “a misura d’uomo”, ma non in relazione alle vostre capacità di spostamento, con cui potete probabilmente viaggiarla da angolo ad angolo in un paio di minuti al massimo (mare nel mezzo permettendo). Più che la dimensione in sé e però la “scala” ad andare persa di più; per come il gioco è strutturato passerete il 90% del tempo sui tetti perché si fa molto prima a spostarsi, ed è un peccato, perché sotto ci sarebbe tutta una città da visitare (che non è dettagliatissima e varissima come città, ma di sicuro lo è più dei tetti). Se nei precedenti giochi c’erano più spazi aperti, che obbligavano o spingevano a cambiare di livello spesso e facevano sembrare meno monotono il paesaggio, la città di Second Son è un costante incastro di grattacieli, che visto dall’altro diventa più monotono di quello che si merita davvero.

La città manca anche di un’altra cosa: l’impressione di essere viva. Empire City e New Marais erano ambienti con persone intente a varie azioni, con scontri spontanei che avvenivano tra diverse fazioni e cose simili; la sensazioni in questa Seattle è di grande attesa, come se niente possa mai succedere finché non arrivate voi, e anche quando arrivate non è che succedano queste gran cose.

L’IA di tutti, nemici ma soprattutto persone normali, è il colpo di grazia a qualsiasi immersione si possa provare ad avere nell’ambiente. Nei vecchi capitoli il vostro karma influenzava gradualmente la reazione della gente nei vostri confronti; in Second Son c’è solo bianco e nero. Appena sarete arrivati in città e avrete liberato due gabbie di prigionieri e distrutto un centro del DUP ci saranno già folle urlanti che vi incitano come allo stadio, persone che vi fanno le foto e donne che gridano che vogliono avere un figlio da voi (e non è una battuta), mentre se avete intrapreso la via del male parte delle persone vi ignorerà completamente e parte scapperà, a prescindere da quel che fate e se usate o no i poteri. Questo finché non sparate un colpo, da qualsiasi punto/altezza a qualsiasi punto/altezza, al che tutti si metteranno a correre terrorizzati, sempre e comunque. Anche questo, più per sbaglio che per scelta, fa a sorpresa apparire la partita con karma negativo quella più credibile e coinvolgente (scappare per scappare…).

 

Occhio di corvo

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Se guardate uno screenshot tra i tanti esistenti del gioco vi apparirà di sicuro convincente: modelli dettagliatissimi, texture quasi perfette sui personaggi e buone sul resto, luci precise e dai colori molto naturali, effetti particellati in abbondanza. Sì, è tutto vero, ma quella è solo metà del quadro generale, che impacchetta un titolo tecnicamente impressionante e che usa la potenza di calcolo di PS4 in modo estremamente intelligente, suddividendola e di fatto soverchiando di effetti, tutti singolarmente già ottimi.

Tutto quello che ho visto in Second Son appare quasi perfetto. Il numero di compromessi è davvero basso, giusto un pochino nelle texture degli ambienti. Ogni cosa che gli sviluppatori hanno voluto tentare sul versante grafico è riuscita alla grande e le parti si articolano in un tutto dinamico, fluido e credibile nell’incredibilità intrinseca della situazione rappresentata.

 

Ci saranno già oggi giochi che sanno mettere in piedi “quella scena” più impressionante di quello che si vede in Second Son, ma grafica non è solo “scene”, è anche e soprattutto “movimento”. In Second Son non ci sono solo degli effetti pompati (ce ne sono, e aiutano), perché l’uso che è stato fatto dell’intero comparto è dannatamente ben integrato nell’esperienza di gioco e in quello che vuole essere: i poteri trasmettono davvero un senso straniante, gli oggetti distrutti sembrano veri oggetti distrutti, quando si colpisce qualcuno si ha davvero la sensazione di starlo colpendo e quando si viene colpiti si ha davvero la sensazione di essere stati colpiti, e di quanto forte.

 

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Le animazioni di Delsin sono un discreto numero, si collegano di norma molto bene e rendono alla perfezione lo “spirito da supereroe” su cui si basa il gioco, sottolineando un po’ l’esagerazione e sfrenatezza del protagonista. Gli effetti particellari (eccezion fatta per l’ultimissimo potere, che per certe cose appare leggermente peggiore degli altri) sono sovrabbondanti, e per questo davvero impressionanti, soprattutto uniti agli effetti di luce. Se girate per strada mentre piove vedrete la città riflessa nelle pozzanghere, e se alzate abbastanza la telecamera vedrete persino delle gocce di pioggia colpire l’ideale lente.

Gli oggetti distruttibili sono abbastanza negli ambienti, ma quelli che si rompono lo fanno perfettamente, e sulla fisica non è stata fatta economia. Sono rimasto sinceramente strabiliato da quanto una cosa semplice come spezzare un’antenna radio fosse credibile e sembrasse vero: nel punto in cui colpivo il metallo si staccava, e da lì si propagava l’onda d’urto sparando via tutti i frammenti ormai non tenuti più insieme da nulla, che arrivati a terra rimbalzavano e sollevavano polvere. Analogamente se colpite ua cassetta della posta vedrete parecchi fogli volare, come far esplodere un’auto spara schegge e frammenti di metallo e di ruote tutto intorno.

Durante le cinematiche la grafica è praticamente la stessa che durante il gioco normale, e il motion capture, sia facciale che corporeo, è da film d’animazione. Delsin guadagna qualche piega sul volto rispetto al gioco normale… ma non di tanto, se guardate bene certi momenti ed espressioni nel mezzo degli scontri. Di sicuro le luci non sono indebolite, e producono effetti strabilianti sull’ambiente circostante e su Delsin stesso sempre e comunque.

 

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A monte di tutto questo, il gioco gira in modo davvero pulito e stabile. Il frame rate non è bloccato a 30, né in su né in giù, ma quello è il valore attorno a cui si vede che ruota praticamente sempre; solo quando si lancia una bomba karmica di alcuni tipi in un ambiente esageratamente pieno di persone ed oggetti fisici c’è un calo drastico per un paio di secondi, ma è una situazione in cui non si controlla il personaggio, quindi è assolutamente perdonabile. Normalmente per quanti colpi, detriti e scintille girino intorno a voi niente sembra veramente intaccare la performance non dico al punto in cui diventa difficile giocare, ma anche solo a quello in cui la cosa è palesemente visibile.

 

La grafica ha comunque alcuni piccoli difetti. Quando ci si muove su terreni strani o mentre si scala capita che parti del corpo di Delsin si compenetrino con l’ambiente. C’è un caricamento in straming degli asset man mano che ci si avvicina alle cose, e questo è ok, ma occasionalmente la nuova texture contiene più elementi della vecchia, quindi si vede a colpo d’occhio la comparsa di nuovi pezzi nell’ambiente. Una cosa simile accade con gli effetti di ombra, che per elementi complicati come le fronde degli alberi si fanno precisi al punto di distinguere le singole foglie solo da vicinissimo, creando una netta linea che separa i due livelli a cui è applicato l’effetto. C’è anche da parlare di un effetto – voluto – di ribilanciamento dell’esposizione che sostanzialmente scurisce tutto attorno alle fonti di luce forti per non sovraesporre niente; che è un’idea intelligente dal punto di vista artistico e visivo, ma nel mezzo di un combattimento notturno preferisco vedere sempre bene chi mi spara che tenere calibrata l’esposizione sul mio fascio di neon.

Al di là di queste, che sono tutte cose più o meno piccole e normali nei videogiochi, al lavoro di costruzione artistica del gioco credo manchi quel tocco di originalità in più (che ad Infamous secondo me è sempre mancato, tra l’altro, ma che qui si vede anche meno) per poter fare un ulteriore salto di qualità.

 

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Questo è un 9,5 che arriva da 9, non uno proiettato al 10, ma credo sia comunque giusto salire così in alto. Second Son non è un miracolo tecnico che rivoluzionerà il mondo dei videogiochi per sempre, ma tutte le sue sotto-componenti grafiche possibili immaginabili sono sia solidissime che ben amalgamate e tra di loro e con la formula di gioco. E – non dimentichiamocelo – è pur sempre un open world e gira su una console da 400€, non un titolo lineare su un PC con pezzi di fascia altissima.

 

Il discorso da fare sull’audio è molto più semplice, perché Second Son non si basa certo sull’esperienza sonora. Questo non significa che la trascuri, solo che tutto passa molto più inosservato. Il doppiaggio italiano è molto valido, le musiche sono poche ma discrete e gli effetti sonori sono tanti e tutti credibili. Ma quasi mai il suono cerca di dare l’atmosfera, e anche quando lo fa è “ordinaria amministrazione” per una produzione di questo livello.

L’audio di gioco è esattamente quello che potreste immaginarvi di avere in un titolo del genere, cioè riesce ad essere sufficientemente credibile e adatto da suonare naturale e non mettersi di mezzo con delle stonature. Una pacca sulla spalla a chi se n’è occupato, se la merita, ma giocando ci farete davvero poco caso, perché così è stato pensato.

 

La scia di carta

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Un’ultimissima parola prima di chiudere va spesa su The Paper Trail, una curiosa e originale iniziativa inserita nel gioco. In sostanza, si tratta di una sorta di investigazione pubblicata a puntate (fino ad ora sono usciti 3 episodi, altrettanti sono in arrivo con cadenza settimanale) spalmata sul gioco stesso e su enigmi e ricerche da fare al PC con internet.

Paper Trail è ben costruito, è intelligente ed offre qualcosa di nuovo, ma ho due critiche da fargli. La prima, magari più arginabile, è che la localizzazione italiana di tutto ciò che non è sulla PS4 è decisamente rivedibile, con testi sfalsati rispetto all’originale (i nomi delle sotto-parti di un intero capitolo sono tutti spostati in avanti di uno), campi di testo che escono dalla finestra del browser e altre cose di questo tipo – metteteci anche una traduzione molto libera, che non è grave di per sé ma che non aiuta la situazione generale. Se volete giocarlo e sapete l’inglese, fatevi un favore e giocatelo in inglese; se non sapete l’inglese, capirete ben presto cosa intendo.

 

Se il primo problema è appunto in Paper Trail stesso, il secondo è in Second Son: le parti all’interno del gioco sono completamente inutili, non aggiungono nulla all’esperienza principale e sono spesso talmente brevi che è più una seccatura dover fare avanti e indietro dalla PS4 al PC che altro.

Paper Trail è di per sé un buon extra, ma è stato gestito in modo stupido, ed è talmente scollegato dal gioco vero e proprio che faccio fatica a vederlo come parte di esso. Non è un’aggiunta a Second Son, è Second Son ad essere una sorta di pass per poterlo giocare; tranquilli, non c’è nessun codice di attivazione o simile, basta avere il gioco installato e un account PSN (anche senza Plus), intendo solo che se Paper Trail fosse stato una cosa su PC e basta, gratuita e libera per tutti, Second Son in quanto gioco non avrebbe perso nulla. Ma, per come stanno le cose, è pur sempre incluso nei vostri 70€ (o quelli che saranno quando lo comprerete), e un minimo di longevità extra, in senso lato, se non altro la offre.

 

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Resa dei conti

Second Son non è un brutto gioco, sotto nessun aspetto, perché le sue lacune e i suoi difetti sono o isolati in componenti non fondamentali per le dinamiche del gioco stesso o vengono controbilanciate da grandi punti di forza. In altre parole, in Second Son non sarete obbligati a fare niente che dia problemi. Questo, come dicevo, non ne può fare un brutto gioco, ma probabilmente lo rende limitato, più di quello a cui i fan della serie sono stati abituati.

 

Qualcuno ci vedrà un capolavoro di tecnica con un gameplay divertente e ben implementato e una storia avvincente. Qualcun altro ci vedrà un gioco corto, abbastanza ripetitivo e ambientato in un mondo piatto. È entrambi, e giocandolo è impossibile non accorgersi di nessuno dei due aspetti. Ma il bilancio finale, proprio perché le carenze sono carenze, non errori, può solo rimanere positivo: Second Son non cerca di fare qualcosa che non è capace di fare, lascia semplicemente perdere su quasi tutto ciò che non è il binario principale che ci si aspetta il giocatore medio provi a seguire.

Detto ancora più chiaramente (e con un termine che normalmente non mi piace usare per tutta una serie di ragioni): Second Son è uno strabiliante gioco casual, tanto strabiliante da non poter non fare un po’ colpo su chiunque, casual e non, ma non è assolutamente un’esperienza profonda o complessa, e se provate a farcelo diventare rimarrete delusi.

 

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Mai lo slogan pubblicitario di un videogioco è stato sul pezzo come quello di Second Son: “Enjoy your power”. Godetevi i vostri poteri (e la trama), perché il gioco è fondamentalmente quello. Lo dico senza sottintendere nulla e lasciando ad ognuno di voi il compito di decidere per sé: qualcuno per questo lo adorerà, a qualcun altro lascerà l’amaro in bocca, ma credo che alla fine a nessuno potrà davvero fare schifo.

Il commento di Lorenzo Forini

I perni di Second Son sono tre: la trama, il comparto tecnico e la sensazione di potenza data in mano al giocatore. Il mondo di gioco è stato ridotto ad un'arena per permettervi di scatenarvi e la longevità è stata ridimensionata, ma entrambi fanno una brutta figura soprattutto rispetto ai precedenti capitoli, non in assoluto.
Infamous: Second Son non è esattamente quello che molti fan si potevano aspettare, ma se volete fare i supereroi in un'avventura ben scritta e tecnicamente stupenda non c'è dubbio che qui vi troverete a casa.

8
GAMEPLAY
Delsin si muove e combatte da manuale, ma le attività collaterali sono davvero elementari e l'IA di tutto è da chiodi per un gioco del 2014.
8
COINVOLGIMENTO
La sensazione che il mondo trasmette è più trascurata che nei vecchi Infamous, ma trama e narrazione sono molto ben strutturate.
8
LONGEVITÀ
La storia è medio-corta, e ci sono pochi extra. Ha senso rigiocarlo con l'altro karma, e per chi ha voglia c'è anche il Paper Trail.
9.5
GRAFICA
Sempre stupendo, sconvolgente nel mezzo di uno scontro intenso. E gira sempre fluidissimo e pulitissimo.
8.5
SONORO
Ottimo doppiaggio italiano; suoni e musiche validi, ma quasi sempre persi nel mezzo di quello che si vede e si fa.
0.1
MALUS
Molti fan noteranno il grande
8.4 MEDIA - 0.1 MALUS = 8.3 TOTALE
  • I poteri sono comodi, intuitivi e divertenti da usare
  • Uno dei comparti tecnici più impressionanti e meglio implementati che abbia mai visto, dalle animazioni alle luci, dalla fisica al motion capture
  • La trama è intelligente, originale e ben narrata
  • Giocare con karma positivo e negativo tutto sommato offre due partite discretamente diverse
  • Le attività secondarie sono di pochi tipi, si ripetono identiche di volta in volta e sono tutte irrimediabilmente molto facili
  • Il mondo di gioco è più piatto e meno ispirato che negli scorsi capitoli
  • Anche all'ultima difficoltà lo si passa tutto senza battere ciglio
  • L'IA, per quel che conta per come è costruito il gioco, è seriamente cretina

1 Responses to “Infamous: Second Son (PS4) – Recensione”

  1. […] avuta prima di scrivere la nostra recensione del gioco mi avrebbe permesso di inserire screenshot molto più accattivanti, ma pazienza. Il voto per ora […]

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