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Videogiochi e DLC al lancio: i veri problemi sono nell’etica o nei soldi?

L’articolo di oggi è gentilmente offerto dalla prevedibile controversia nata attorno all’annuncio che Total War: Warhammer, il prossimo titolo di Creative Assembly e SEGA, avrà una fazione (e una abbastanza grossa) giocabile solo tramite DLC – e non un DLC qualunque, ma un cosiddetto day-one DLC, ovvero un DLC già disponibile all’acquisto il giorno in cui il gioco uscirà, il che avverrà fra circa sei mesi.

Se aprite il video stesso su YouTube con cui i Guerrieri del Caos sono stati annunciati, il bilanciamento tra like e dislike vi farà capire come è stata recepita la notizia dall’internet videoludico più attivo.

Spoiler: non tanto bene.

 

Ma questo non è l’unico tema dell’articolo di oggi. Quello che voglio fare è andare oltre al caso singolo e capire esattamente perché, in situazioni di questo tipo, scoppiano delle polemiche, quali delle argomentazioni che vengono continuamente riproposte hanno una base solida e quali sono puro e semplice prodotto dell’effetto bandwagon.

Spoiler: molta gente non ha le idee molto chiare.

 

Problemi etici o economici?

La vendita di un videogioco, come quella di qualsiasi altro prodotto, è una transazione in cui l’acquirente dona dei soldi in cambio di qualcosa – in questo caso, la licenza di utilizzo di un software. Il prodotto venduto deve essere funzionante e rispondere alle caratteristiche per esso pubblicizzate.

Questo almeno per quel che concerne l’aspetto legale. Ovviamente, però, c’è molto altro.

 

Nell’ambito dell’industria videoludica, durante una discussione spesso si sottintende o si afferma esplicitamente che qualche tipo di azione o situazione da parte di una compagnia generi dei problemi “etici”, e che questa mancanza di eticità condanni l’azione come sbagliata e da evitare.

La logica di fondo è che l’eliminazione di questi “comportamenti non etici” dovrebbe portare ad un’industria migliore, ad un migliore servizio per i clienti e via dicendo. Il che, in linea di massima, è vero, dato che è parte della definizione stessa di “etica”.

Il vero trabocchetto, a volte, è logico: qualcosa è etico se va bene, quindi ciò che non è etico probabilmente non va bene. Ma come si fa, esattamente, a stabilire se qualcosa è etico (senza entrare in un ragionamento circolare)?

 

La teoria del “blocco unico”

Tendenzialmente gli utenti molto attivi su internet danno per scontato che il prodotto videoludico venduto sia, o dovrebbe essere, un “blocco unico”, e per questo motivo il concetto stesso di DLC viene condannato. Un DLC venduto al lancio è particolarmente detestato perché, in quel caso specifico, non è possibile addurre ragioni temporali o materiali allo spacchettamento del prodotto, che appare quindi ancora più artificiale e pilotato.

Questa concezione del “blocco unico” ha origini per certi aspetti storiche (prima dell’era di internet, era effettivamente molto spesso il caso) filtrate da un velo mitico (il mito contemporaneo del “vero videogiocatore”, a cui molti su internet cercano più o meno coscientemente di uniformarsi, che esalta alcune vecchie concezioni del mondo videoludico e cerca di applicarle con la forza alla realtà odierna, spesso esasperandole o non capendole realmente alla radice), e per altri psicologiche (il senso di realizzazione dal sapere che si possiede qualcosa, molto limitato qualora manchino dei “pezzi”).

Non c’è dubbio che spesso le aziende stesse giochino su questi due fattori (in particolare il secondo) per i propri interessi. A voler essere del tutto onesti, tra l’altro, penso che si offenda la mia intelligenza molto di più quando mi viene offerto un pre-ordine senza alcun tipo di sconto o bonus, perché in quel caso mi si fa una proposta basata unicamente sulla mia compulsività, ma questa è un’altra questione.

 

Quella che manca dalla lista, però, è una chiara giustificazione economica. Perché, francamente, è difficile trovarla – nella pratica di spacchettare un prodotto in quanto tale. Ogni cosa che viene prodotta ha un budget, di cui poi si deve rientrare con le vendite, e l’equilibrio di quanto produrre, con che modalità venderlo e quanto farlo pagare è piuttosto complicato, e far tornare l’equazione non è per niente banale.

In un mercato concorrenziale (come sicuramente quello dei videogiochi è) i prezzi sono in ultima analisi un prodotto dell’equilibrio tra domanda e offerta. Una volta che si lancia lo sviluppo di qualcosa c’è una soglia “perfetta” di quanti contenuti produrre per poi riuscirli a vendere (parte del prodotto è “unica” per tutti i contenuti, quindi continuare a lavorare a qualcosa diventa man mano meno costoso in rapporto ai contenuti prodotti, ma allo stesso tempo c’è un limite di quanto la gente sarà interessata a comprare prima di stancarsi), e ovviamente c’è anche una soglia “perfetta” di come venderli e a che prezzo.

Il mercato videoludico odierno non è nulla di meno o nulla di più di questo sistema che si ri-bilancia da solo continuamente. Il prezzo base dei giochi rimane sostanzialmente invariato, perché aumentare quello taglierebbe completamente fuori una buona porzione di utenti, e con tutti gli altri si prova man mano a capire come regolarsi.

 

Analogie fuori dall’industria videoludica

A molta gente, quando tratta questi argomenti, piace fare bizzarre analogie in cui si “smontano” oggetti o articoli di uso comune (del tipo “è come vendere un’auto senza portiere”, oppure “è come vendere una casa senza tetto”), cercando di “dimostrare” che anche un gioco debba necessariamente essere visto come un pezzo compatto impossibile da separare, e che qualsiasi cosa sia più o meno affiancabile ad esso al momento dell’uscita sia un “contenuto tagliato” dal gioco per farlo “pagare di più”.

Queste però sono analogie solo apparenti. Per definizione un’auto senza portiere non è utilizzabile come ci si aspetterebbe di utilizzare un’auto, così come una casa senza tetto. Un videogioco con 50 livelli è perfettamente utilizzabile come ci si aspetterebbe di utilizzare un videogioco, anche se poi ci sono 10 altri livelli venduti separatamente. Se si fosse intellettualmente onesti, sarebbe più corretto paragonare un videogioco con o senza DLC ad un’auto con o senza autoradio, o ad una casa con o senza ascensore.

Quindi, seguendo questa logica, lasciate che vi faccia io qualche altro esempio.

 

 

Credo che gli scenari che ho proposto provengano da ambiti abbastanza eterogenei, e spero abbiano almeno avuto l’effetto di obbligarvi a farvi ragionare per analizzare caso per caso quello che vi proponevo.

Mi sembra evidente, proprio ad un livello basilare di buon senso, che non sia possibile partire da una concezione astratta completamente scollegata dalla realtà (come è quella del “blocco unico”) e cercare di applicarla alla cieca a tutto quanto. Quello che bisognerebbe invece fare è guardare ad ogni singolo caso e valutarlo in quanto tale.

 

Se cercassi di vendervi una sedia di plastica monoblocco per 80€, e poi volessi ancora i 5€ per il cuscino, la vostra (giusta) obiezione sarebbe che sto chiedendo troppi soldi per la sedia, e non che sto separando il cuscino dal prodotto perché per “avidità” voglio quei 5€; al limite potreste dirmi che già che mi fate pagare 80€ la sedia il cuscino potreste pure regalarmelo, ma alla radice del problema continua ad esserci il prezzo della sedia, non il fatto che il cuscino è venduto a parte. Se al contrario vi dicessi che voglio 5€ per la sedia, ma il cuscino viene 40€, sicuramente ridereste pensando al prezzo del cuscino, ma scommetto che ve ne andreste lo stesso con la sedia.

L’errore alla radice sta nell’assumere che i videogiochi abbiano un “prezzo vero” o “giusto”, quello da listino per l’articolo base, e che qualsiasi cosa venga proposta all’infuori di esso sia una spesa “in più” oltre al “prezzo giusto”. Il che non ha alcun senso, dato che il prezzo dovrebbe essere paragonabile ai contenuti del prodotto (spesso anche relazionabili ai suoi costi di sviluppo, tra l’altro), e non alla sua etichetta formale.

Applicando la teoria del “blocco unico” per i videogiochi, difatti, il risultato è esattamente l’opposto che nel mio esempio con la sedia e il cuscino. Un gioco con pochi contenuti e di qualità mediocre può magari essere venduto a 50€; allo stesso tempo un altro gioco con tre volte i contenuti e valori di produzione elevatissimi potrebbe uscire ugualmente a 50€, e pre-ordinandolo vi verrebbe dato gratis qualche altro contenuto ancora per cui altrimenti dovreste pagare un extra. Ogni razionalità suggerisce che la seconda sia l’offerta migliore, comunque la si guardi, ma non è questo che vi dirà il grosso degli utenti attivi su internet, perché il babau del “contenuto tagliato” ha la priorità sul resto.

 

Dare valore ai contenuti, non alla forma

Gli slogan, soprattutto quelli molto netti e che suonano virtuosi e vantaggiosi, fanno presto a prendere piede; “i DLC al lancio dovrebbero essere inclusi nel gioco base” è uno di questi. Sembra una bella cosa, no?

Solo che, se il DLC al lancio non è incluso nel gioco, è perché includendolo il prezzo base andrebbe alzato, e tutto il meccanismo si scombinerebbe. Far felici i puristi dei “giochi completi” non vale il perdere centinaia di migliaia di clienti che non vogliono o possono permettersi un entry price maggiore, quindi semplicemente non avverrà.

L’altra “soluzione” alternativa sarebbe non sviluppare affatto il DLC, ma non avverrà neppure quello: perché con i contenuti costruiti su un titolo già funzionale il ricavo relativo è maggiore, e c’è una fascia di pubblico disposta a pagare più dell’entry price di un videogioco.

 

Total War: Rome 2 con tutti i suoi DLC costa 138€. È certamente discutibile se tutti i contenuti giustifichino una tale cifra o no. Ma, se assumessimo che i soli contenuti del pacchetto base (a 55€) siano più che ragionevoli per il loro prezzo, il fatto che altro esista e costi troppo non cambierebbe la cosa. Non in questo caso particolare, almeno.

Se per TW: Warhammer si stesse parlando di un titolo sostanzialmente lineare, di una “storia” composta da tasselli difficili da spostare senza fare dei danni, capirei molto di più anche delle lamentele a monte di qualsiasi ragionamento sul prezzo. Ma non è così. Questo gioco è letteralmente composto da tasselli completamente a sé stanti e autosufficienti, quindi il valore di ciò che è presente è scollegato dall’assenza di qualcos’altro.

Sappiamo fin dai giorni dell’annuncio che il gioco base avrebbe permesso di giocare utilizzando quattro razze. Praticamente nessuno ha avuto nulla da ridire fino ad oggi. Il prezzo a cui è venduto TW: Warhammer (rivelato alcuni giorni fa) è lo stesso a cui è stato venduto Rome 2 quando è uscito, quindi non esattamente una sorpresa.

Ora scopriamo che, in aggiunta a quelle quattro razze per quel prezzo, si potrà giocare anche con una quinta razza pagando di più oppure pre-ordinando il gioco. L’offerta originale non è cambiata di una virgola. Scusate se lo dico così brutalmente, ma se delle carte sono state cambiate non è di sicuro dal lato del tavolo di Creative Assembly e SEGA, che francamente sono state assolutamente dirette e trasparenti (per quello che abbiamo visto e sappiamo fino ad ora, perlomeno).

 

Perché sto scrivendo tutto questo

Mentre l’industria se ne infischia di questo rumore di fondo, che avanza proposte senza nessun senso economico, una affermazione astratta come “i DLC al lancio dovrebbero essere inclusi nel gioco base” si diffonde facilmente nella base, non essendoci nessuno volenteroso o incaricato di spiegare perché è basata su una falla logica e promette un falso guadagno. E così, alla lunga, si viene a costruire una teorizzazione di frasi fatte e postulati che diventa impossibile da penetrare, e che nei discorsi prende il sopravvento su qualsiasi altra considerazione di buon senso.

Qualche volta, quindi, il risultato potrebbe essere che per il vostro internauta medio pagare quella sedia di plastica 80€ ancora lo si può capire, ma un cuscino a 5€ proprio no.

 

Ogni volta che delle argomentazioni completamente irrazionali vengono idolatrate a furor di popolo una parte di me muore: le “incazzature isteriche di massa” sono di fatto diventate un fenomeno sociale regolare su internet, e per qualcuno addirittura un business.

Come ho già spiegato qui e ancora più estesamente in almeno un’altra occasione, tutto questo fa male a tutti e tutto, sempre. Se non ci sono problemi reali, ne crea di finti. Se ci sono problemi reali, spesso li ignora a favore di altri fittizi, che si vendono semplicemente meglio. E se anche i problemi reali e quelli trattati coincidono, non si arriva alla loro radice per risolverli veramente, ma si pestano i piedi per terra e si fanno i capricci finché qualcuno non salta fuori con un biscottino come palliativo, senza che spesso poi niente sia cambiato davvero.

 

E non fatemi neanche pensare ai deficienti che pensano che in nome di questa farsa di una “battaglia sociale” siano giustificati nel piratare completamente un gioco appena uscito, appropriandosi illegalmente di svariati anni di lavoro di decine di persone solo perché uno sviluppatore ha avuto l’audacia di vendere il proprio prodotto con una modalità che per ragioni spesso irrazionali a loro non è piaciuta. Chi arriva fino a questo punto perde qualsiasi attenuante di “buona fede” che ancora si può concedere a tutti gli altri, comunque si atteggino.

 

Morale della storia

Non vi sto sicuramente dicendo se TW: Warhammer sia venduto ad un buon prezzo o no, o se valga la pena di comprarlo, o di comprare i DLC. Quella è un’altra questione, per cui non credo si abbiano ancora abbastanza elementi su cui fare una valutazione, e che in ogni caso resterà almeno in una certa misura soggettiva. Il gioco uscirà ad aprile 2016: forse è il caso di aspettare un altro po’, prima di trarre considerazioni di questo tipo?

Vi sto dicendo che chiudendo la porta davanti alle questioni formali rischiate di aprirla ai problemi contenutistici, sempre e comunque. Vi sto dicendo che, con questa mentalità, se aveste la febbre potreste convincervi che per curarla dovete scendere ripetutamente da una collina su uno slittino; potrà anche essere divertente, ma è pericoloso. E di sicuro non vi curerà la febbre.

 

Si può continuare a farsi trascinare da queste onde di marea, urlare tutto il proprio odio represso contro un problema immaginario e convincersi di stare cambiando il mondo per il meglio, ma intanto non ottenere assolutamente nulla di concreto (anzi, al contrario, rendere inutilmente la vita difficile a tutti quelli colpevoli solo di non essersi fatti trascinare dalla stessa medesima corrente), perché non basteranno tutti le argomentazioni erronee del mondo a far smettere all’economia reale di fluire secondo principi reali.

Oppure si può spegnere NeoGAF, YouTube e Steam Hub, accendere il cervello, guardare la realtà attorno a sé e arrivare da soli a qualche conclusione dettata da buon senso e numeri, votando per davvero “con il proprio portafogli”, invece di vivere al ritmo dei soliti cicli di rabbia catartica collettiva pilotati da strilloni e bovari vari.

 

O ancora, beh, potreste fregarvene altamente di tutto, come fa il 99% della popolazione mondiale, e dedicare al pre-lancio di un videogioco giusto l’attenzione funzionale a venire a sapere che uscirà e quando. Ma, se così fosse, immagino non stareste leggendo questo articolo.

Alla prossima.