Oltre il concetto di videogioco
Per inquadrare correttamente The Town of Light, un’introduzione classica sarebbe sicuramente fuori luogo. Iniziamo subito, invece, con il dire che l’opera di Lka.it – team di sviluppo tutto italiano – è più un’esperienza che un mero videogioco. Uno di quei titoli potenzialmente capaci di assorbirti e tenerti incollato allo schermo fino all’ultima scena, ma solo a patto di riuscire a guardare oltre il concetto videogioco.
Lo psicolabile confine tra realtà e videogioco
The Town of Light è ambientato nel manicomio di Volterra, clinica realmente esistita e fedelmente riprodotta. Esplorando gli anfratti dell’edificio, ormai in rovina e in disuso da decenni, rivivremo i confusi ricordi di Renèe, una tormentata ragazza che ha vissuto per anni rinchiusa tra quelle tetre pareti.
Le vicende sono ispirate ad eventi realmente accaduti, e proprio ciò rende il gioco non solo il racconto di una sconvolgente e toccante storia ma anche una vera e propria denuncia storica e sociale. Da questo punto di vista, la cura dei dettagli è davvero ottima: nella scuola in periodo seconda guerra mondiale non può mancare il ritratto di Mussolini appeso alla parete, nella sala di chirurgia è possibile sfogliare documenti che illustrano come operare una lobotomia…
Il comparto narrativo è sicuramente uno dei punti forti del gioco. The Town of Light riesce a trattare il tema della follia in modo originale; l’impressione è che gli sviluppatori non abbiano mai voluto né tentato di far immedesimare il giocatore nella protagonista Renèe. Se da un lato è vero che probabilmente ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si è sentito diverso, alienato, fuori posto, è anche innegabile che ciò non è sufficiente a permetterci di comprendere appieno cosa può voler dire essere un’adolescente rinchiusa in un manicomio in un’epoca in cui pratiche come lobotomia ed elettroshock erano all’ordine del giorno. Al contrario, la sensazione è quella di vivere la storia dal punto di vista di Renèe, ma immedesimandosi in un invisibile osservatore esterno, come se fossimo un fantasma in grado di vedere tutto ma interagire con niente.
Ordinaria follia
Tornando con i piedi per terra, parliamo del gameplay. In quanto gioco d’atmosfera, da questo punto di vista, The Town of Light non offre – comprensibilmente – nulla di particolare, anzi. Tutto ciò che dovremo e potremo fare è esplorare il manicomio di Volterra, alla ricerca di luoghi chiave in grado di rievocare i ricordi di Renèe e ricostruire la sua storia. A volte è richiesto compiere determinate azioni, ad esempio riattivare la corrente per azionare l’ascensore e trasportare una sedia a rotelle al primo piano, ma non si può parlare di veri e propri enigmi. Ad aumentare l’interattività, per fortuna, vi è la possibilità di compiere alcune scelte durante l’avventura, che permettono di far evolvere la storia in modo differente, offrendo punti di vista differenti su quello che accade alla (e nella) protagonista. Questa caratteristiche ha, inoltre, il duplice pregio di aumentare notevolmente il tasso di rigiocabilità, una manna del cielo vista la breve durata del titolo, completabile senza problemi anche in meno di tre ore.
Dal punto di vista tecnico, il lavoro svolto è molto buono, anche se non privo di difetti minori. Ottima la realizzazione del manicomio, riprodotto molto fedelmente, così come la vegetazione e i paesaggi. Proprio per questo, forse, i modelli poligonali dei personaggi appaiono ancora più approssimativi e mal concepiti. Fortunatamente, la visuale è in prima persona e le scene in cui compaiono altre persone sono relativamente poche, se escludiamo le cutscene. Cutscene che vale la pena citare, visti gli ottimi disegni caratterizzati da uno stile grottesco che si abbina perfettamente all’atmosfera di gioco.
Per quanto riguarda il comparto audio, troviamo effetti sonori ben implementati, una colonna sonora in realtà composta prevalentemente da (azzeccatissimi) silenzi e poche tracce, comunque di buon livello. È presente anche un doppiaggio in italiano, di qualità discreta.