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Qual è la reale situazione di Wii U e Nintendo oggi?

Sono più di 20 mesi che Wii U è in vendita nei negozi. C’è chi dice che sai destinata a fallire. C’è chi dice che abbia avuto solo un lancio un po’ sotto tono e che siamo sulla strada della ripresa. C’è chi dice che non ci sia mai stata una crisi, e che Nintendo faccia bene a puntare a piazzare poche copie pur di mantenere la propria linea.

La domanda, a cui voglio provare a rispondere, è: al di là di quello che si spera o non si spera di vedere, qual è, da un punto di vista oggettivo, la situazione di Wii U sul mercato?

E badate bene che questa analisi va ben oltre il solo numero di console piazzate oggi (che pure resta un dato importante). Preciso anche che questo non è un articolo sulle finanze di Nintendo, di cui in questa sede mi importa molto poco: non sto decretando se Ninendo fallirà o no, quella è una questione estremamente più ampia e complicata. Sto cercando di capire se Wii U “fallirà”, ovvero come uscirà da questa generazione, e di conseguenza quale terreno lascerà in eredità alle future piattaforme fisse di Nintendo.

 

Questo articolo spiega, nella mia personale interpretazione della situazione, quali sono i problemi di Wii U, perché sono dei problemi, come si sono venuti a formare e cosa si può fare arrivati a questo punto.

 

Poche unità piazzate, e forse troppo poche

Qui non ci sono tanti modi per girarci intorno: numericamente, Wii U fino ad ora ha venduto meno di quanto le si potrebbe auspicare, e anche di quanto Nintendo stessa sperava.

 

Se guardiamo le precedenti console fisse della società possiamo renderci conto che anche cercare paragoni col passato non promette molto bene: evitando di andare indietro fino ai giorni di NES e SNES, quando il mercato e il pubblico erano completamente diversi, vediamo che Nintendo 64 ha piazzato circa 33 milioni di unità in poco più di 6 anni (media di circa 5 milioni/anno), GameCube sui 22 milioni sempre in circa 6 anni (media: 3,7 milioni/anno) e Wii ha avuto il grande exploit, superando la soglia 100 milioni e piazzandosi circa su 101 in 7 anni (media di 14,4 milioni/anno).

Se guardiamo i dati di Wii U fino ad oggi, ovvero circa 6,5 milioni di unità in 20 mesi, la media è di 3,9 milioni/anno. Non sarebbe il peggior risultato, ma se la tendenza dovesse proseguire, anche volendo essere buoni e considerare nel tempo un piccolo aumento esponenziale di vendite, le proiezioni la danno meglio di GameCube e peggio di Nintendo 64, cioè realisticamente meno di 30 milioni di unità, e questo in un’epoca in cui il mercato console in occidente sta di suo crescendo, quindi sarebbe probabilmente il risultato relativo peggiore di sempre.

 

Ma la situazione non va gurdata solo attraverso il numero in sé. La parte più importante, e grave, è che Nintendo stessa non starebbe puntando ai numeri che ottiene. Come forse vi ricordate, lo scorso gennaio l’azienda ha dovuto rivedere pesantemente al ribasso le stime di vendita per la console. In sostanza, ad aprile 2013 si era prevista la vendita di ben 9 milioni di nuove Wii U nell’arco di 12 mesi, quando in realtà la cifra finale ha faticato a rasentare il 3. Qui il punto non è cosa “vada bene”, ovvero un discorso del tipo “ma per una console di nicchia anche 3 milioni non sono male” non può funzionare; non perché ogni console debba per forza puntare ad essere prima, ma perché le vendite intaccano molto sia le possibilità di rientro economico per il produttore sia il supporto delle terze parti.

Riguardo il primo dei due, lasciatemi fare un esempio forse più immediato da capire. Square Enix ha comunicato, qualche mese fa, che il nuovo Thief ha ottenuto buoni risultati perché ha venduto più di un milione di copie totali. Immaginate se Grand Theft Auto V, che è costato tra sviluppo e pubblicità più di 250 milioni di dollari, avesse venduto 1 milione di copie e si fosse fermato: pensate che Rockstar avrebbe detto che “era andata bene”? Il fatto è che quale cifra di vendita “vada bene” non lo decidono il genere o la qualità di un prodotto, ma quanto è costato svilupparlo: se sto producendo un gioco per un mercato più di nicchia (e per quanto Thief non sia stato presentato come titolo “di nicchia”, di sicuro il pubblico a cui si rivolgeva era molto minore di quello di GTA V) sono io che devo avere l’accortezza di spendere meno prima, altrimenti poi, per quanto “per il suo genere” il gioco abbia venduto, resto col conto in rosso. Lo stesso esatto discorso vale per il bilancio finale di una console.

Il problema non è che Wii U venda come console “di nicchia”. Il problema è che pare proprio che Nintendo ci investa come se dovesse vendere di più di quello che poi vende. Gli investimenti, subito, sono sempre perdite, quindi è normale che un’azienda spenda di più prima per favorire la diffusione di una piattaforma e rifarsi poi. I problemi arrivano se la piattaforma non si diffonde comunque, e se, disastro catastrofico di cui nessuno sembra volersi rendere conto e qualche fan sprovveduto addirittura si compiace, i gioco third party su di essa non vendono o addirittura non arrivano.

 

E questo è l’altro, immenso problema di Wii U: il grosso dei titoli degli sviluppatori terzi su di essa vendono pochissimo, in particolare i multipiattaforma di un certo peso, al punto che molti stanno smettendo anche solo di farceli uscire.

In primo luogo, è un danno economico così pesante per l’azienda produttrice che da solo può affossare il bilancio di un’intera piattaforma. Per ogni gioco venduto su console il grosso del ricavato va al publisher del titolo, ma una percentuale rimane al produttore della console stessa. Non so esattamente quanto sia questa cifra per le varie macchine attuali, ma se facciamo finta che sia anche solo il 5% vuol dire che quando Watch Dogs vende 2 milioni di copie su PS4 a 70 euro l’una Sony ha guadagnato 2’000’000 x 70 : 100 x 5 = 7 milioni di euro, senza di fatto avere speso niente. È per questo in teoria che da sempre Sony, Microsoft e Nintendo sviluppano titoli esclusivi che allargheranno la base installata; se anche il gioco esclusivo in sé non rientra del tutto dei costi di sviluppo, ma ha fatto vendere qualche decina di migliaia di console, sono soldi che rientreranno nel tempo ad ogni altro titolo venduto non prodotto dal proprietario della console. Vi renderete conto, quindi, che se questi third party non esistono proprio su Wii U tutto il meccanismo si rompe.

Il secondo problema, che chiude il cerchio, è che se sulla console non ci sono titoli third party l’acquirente sarà a sua volta meno propenso anche solo a prenderla, quella console, riducendo ancora di più i volumi di vendita, facendo calare ulteriormente gli incassi dei e dai third party e alimentando il ciclo stesso.

Badate bene che questo processo va avanti da ben prima di Wii U, e proprio perché dilazionato nel tempo ha potuto portare al logoramento così radicato che vediamo oggi.

 

I third party semplicemente non vendono

Difatti, quello a cui assistiamo su Wii U è un fenomeno che va oltre alla “poca base installata”, e che ha quasi dell’incredibile, se si pensa ai numeri su cui si viaggia: il grosso dei third party, semplicemente, non vende, anche tenendo conto delle meno console piazzate. È evidente che di tutti quelli che comprano Wii U solo una percentuale ridottissima è interessata a giochi non sviluppati da Nintendo.

 

Facciamo un paio di confronti. Queste sono le vendite di Assassin’s Creed IV su PS3, Xbox 360 e Wii U:

Nel caso non leggiate, la riga rossa è Wii U.

 

“Ok”, direte voi, “ma PS3 e Xbox 360 hanno una base installata molto maggiore”. Il problema è che la relazione è circa la stessa anche con PS4 e Xbox One – al loro lancio:

Qui Wii U è la linea azzurra.

 

Andiamo pure avanti. Call of Duty: Ghosts su Wii U, PS3 e Xbox 360:

Se fate fatica a vedere Wii U, è perché è quasi coincidente con l’asse delle ascisse.

 

E su Wii U, PS4 e Xbox One:

Ricordate che PS4 ha superato Wii U come base installata da dopo natale, e che Xbox One non l’ha superata tuttora.

 

Il prossimo nel confronto dovrebbe essere FIFA, se non fosse che FIFA 14 su Wii U non è uscito affatto, esattamente come svariati altri titoli che su PS4 e Xbox One hanno registrato vendite più che soddisfacenti (Battlefield 4, Need for Speed Rivals, NBA 2K14, Metal Gear Solid: Ground Zeroes…).

 

Dire “questi erano praticamente gli unici giochi disponibili per PS4 e Xbox One al lancio, quindi è ovvio che abbiano venduto” è un po’ scontato, ma ci fa allontanare dal problema: il punto non è che i titoli più di successo vendono su PS4 e Xbox One, ma che non vendono su Wii U! Il loro attach rate sulla console Nintendo evidenzia che anche chi la possiede non è semplicemente interessato ad essi.

Guardiamo i 10 giochi più venduti, all’oggi, su Wii U; anche se i dati non tengono conto delle vendite digitali, i rapporti di forza sono innegabili:

  1. New Super Mario Bros. U – 4,09 milioni
  2. Nintendo Land – 3,06 milioni
  3. Super Mario 3D World – 2,14 milioni
  4. Mario Kart 8 – 1,91 milioni
  5. New Super Luigi U – 1,63 milioni
  6. Wii Party U – 1,29 milioni
  7. The Legend of Zelda: The Wind Waker – 0,99 milioni
  8. Pikmin 3 – 0,79 milioni
  9. Lego City Undercover – 0,77 milioni
  10. ZombiU – 0,70 milioni

 

Sono sostanzialmente 10 esclusive (credo che Lego City Undercover esista anche per 3DS, e The Wind Waker è ovviamente uscito prima su GameCube, ma qui stiamo parlando di quello che è disponibile su console fisse dei tempi recenti).

Se guardiamo i giochi più venduti di PS4 e Xbox One, invece, c’è molta più alternanza tra esclusive e multipiattaforma:

 

PS4 (esclusiva console next-gen, multipiattaforma):

  1. Call of Duty: Ghosts – 2,34 milioni
  2. Watch Dogs – 2,20 milioni
  3. FIFA Soccer 14 – 2,15 milioni
  4. Battlefield 4 – 1,92 milioni
  5. Killzone: Shadow Fall – 1,78 milioni
  6. Assassin’s Creed IV: Black Flag – 1,69 milioni
  7. inFamous: Second Son – 1,42 milioni
  8. Knack – 1,10 milioni
  9. Need for Speed: Rivals – 0,96
  10. NBA 2K14 – 0,95 milioni

 

Xbox One (esclusiva console next-gen, multipiattaforma):

  1. Titanfall – 1,95 milioni
  2. Call of Duty: Ghosts – 1,84 milioni
  3. Forza Motorsport 5 – 1,38 milioni
  4. Battlefield 4 – 1,37 milioni
  5. Dead Rising 3 – 1,05 milioni
  6. Watch Dogs – 0,98 milioni
  7. FIFA Soccer 14 – 0,95 milioni
  8. Ryse – 0,92 milioni
  9. Assassin’s Creed IV: Black Flag – 0,81 milioni
  10. NBA 2K14 – 0,61 milioni

 

E, come facevo notare prima, Ghosts e Black Flag su Wii U ci sono, eppure su di essa hanno registrato vendite quasi nulle in confronto a quelle di tutte le altre piattaforme (circa 0,18 milioni l’uno).

Questo significa che, se chi acquista PS4 e Xbox One vuole tanto le esclusive quanto i multipiattaforma, chi acquista Wii U è interessato quasi solo alle esclusive. Non credo ci sia molto margine di discussione su questa interpretazione, anche ascoltando gli utenti delle tre console; quello che spesso si fa fatica a capire è come questa situazione, di fatto, causi un danno esponenzialmente sempre più grave tanto a Nintendo quanto a Wii U stessa, per il motivo che ho spiegato prima.

 

Nintendo ha di nuovo fatto Nintendo?

Tutti parlano sempre della situazione di Wii U, ma pochi analizzano il come ci si sia arrivati, o meglio se tutto questo si sia abbattuto come una calamità imprevedibile o cosa. La verità, per me, è che Nintendo si sia scavata da sola il solco in cui oggi sta rimanendo impantanata, tutto grazie ad un suo atteggiamento di sempre: appena si inizia a discutere, prende i propri giocattoli e se ne va a casa senza guardare in faccia a nessuno.

Se si studia la storia della compagnia ci si rende conto che praticamente ad ogni bivio Nintendo ha sempre preferito chiudere la porta ad influenze esterne per inventarsi un proprio modo di fare le cose, senza mai porsi vere domande sulle conseguenze, anche e soprattutto nel lungo termine, di quelle porte chiuse. Wii U è in buona parte frutto dell’ennesimo colpo di testa personale dell’azienda, e questa “improvvisa crisi” in realtà è solo la corda che inizia a spezzarsi dopo anni di tensione.

 

Piccolo riassunto storico.

Sony, inizialmente, voleva creare una console in collaborazione con Nintendo che avrebbe potuto riprodurre tanto le cartucce del SNES quanto nuovi titoli su CD – quindi una variante del SNES con l’aggiunta di un lettore CD. Nel 1988 era stato firmato un contratto tra le due, e nei successivi tre anni si era lavorato per renderlo possibile; nel 1991, tuttavia, il presidente di Nintendo decise di non voler sottostare ai termini del contratto originale (che di fatto dava a Sony tutti i diritti sui titoli stampati su CD), lo annullò e contattò Philips, che evidentemente avanzò meno pretese. Il risultato fu il Philips CD-i, su cui non aggiungere altro è pura misericordia, credetemi. Nei due anni successivi Nintendo prima intentò causa a Sony per il possibile uso del nome “Play Station” per altri prodotti, fallendo, poi le due sembrarono avere raggiunto di nuovo un accordo per creare il progetto originale, questa volta lasciando tutti i diritti a Nintendo sui giochi, anche quelli su CD. Solo che nel frattempo Sony decise di provare a fare il salto di qualità e di usare la tecnologia dell’uso di CD per dei videogiochi che aveva sviluppato per creare direttamente una console di nuova generazione, cambiò il nome del prodotto da “Play Station” a “PlayStation” per evitare ulteriori potenziali grane e mollò definitivamente Nintendo.

Quindi, anche per Nintendo era ora di sviluppare una nuova console, quello che sarebbe diventato il Nintendo 64. Ma, invece che convertirsi anch’essa ai CD, già usati con discreto successo da PlayStation e Saturn, optò per continuare ad usare le cartucce, che costavano molto di più da produrre (costo che finì per scaricarsi sui prezzi dei giochi, e quindi sui consumatori) e contenevano molti meno dati. Le ragioni sempre avanzate da Nintendo per questa scelta, e su cui costruì anche parte del proprio marketing, erano la maggiore velocità di lettura e una serie di altri piccoli benefici tecnici, come l’estrema facilità di applicare filtri trilineari alle texture; ma l’altro aspetto che si potrebbe leggere in essa (e che di sicuro non solo io ci vedo) è che le cartucce per Nintendo 64, a differenza dei CD, erano un formato proprietario di Nintendo, motivo per cui l’azienda giapponese ne deteneva il completo controllo e poteva distribuirli come voleva, riducendo quasi a zero la possibilià di giochi non autorizzati o di copie illegali. La terza ed ultima faccia della questione, che invece si deve vedere per forza, è che la somma di tutti i fattori negativi e l’evidente insufficienza di quelli positivi portò alleati storici di Nintendo, come Square ed Enix, a passare a PlayStation, che offriva un medium più economico, comodo da usare e di successo presso i consumatori. Per dirne una, Final Fantasy VII originariamente doveva essere un’eslcusiva Nintendo 64, invece finì per essere un’esclusiva (console) PlayStation.

In una generazione, Nintendo aveva perso il vantaggio sul mercato console detenuto così saldamente ai tempi del confronto diretto con Sega, e Nintendo 64 era stato radicalmente soppiantato da PlayStation. PlayStation 2 era in arrivo, e a quel punto era impensabile continuare ad usare le cartucce, così, come Sony, anche Nintendo passò ai DVD… solo miniaturizzati, quindi ancora una volta di formato proprietario e con una propria codifica unica, sempre per tenere totalmente sotto controllo distribuzione non autorizzata e pirateria. E a fare quello ci riuscirono, solo che di nuovo il mezzo era inferiore a quelli della concorrenza (su PS2 e Xbox un DVD arrivava a contenere 8,5 GB di spazio, su GameCube solo 1,5), e questa scelta precludeva anche l’uso della console per altre funzioni, come guardare un film in DVD o ascoltare un CD audio. Ovviamente questa non fu l’unica (e probabilmente neanche la principale) ragione dell’insuccesso di GameCube, ma sta di fatto che è all’oggi la console fissa Nintendo che ha venduto meno di tutte, mentre PS2 è la console fissa più venduta della storia, aiutata anche, questo sì possiamo dirlo con una buona certezza, dall’offerta inclusa in un pacchetto già valido e ad un prezzo ragionevole di portarsi in casa un modernissimo lettore DVD.

E qui arriva Wii. Qual è la caratteristica principale di Wii? Motion control, una cosa su cui nessuno ha mai puntato tanto e che di sicuro non è mai stata alla base stessa di una console. Ma funziona. Wii diventa una sorta di moda, che va ben oltre il panorama videoludico tradizionale. Tutti vogliono provare il Wii. Tutti a un certo punto hanno avuto un Wii in casa. La Regina Elisabetta ha un Wii. Questa volta l’azzardo di fare di testa propria, in qualche modo, ha dato i suoi frutti.

Ma non pensiate che Wii abbia migliorato i problemi di Nintendo coi third party: ha solo dilatato i tempi. Nintendo ha continuato a perdere appoggi esterni anche durante la generazione che numericamente ha dominato, e senza tutta quella base installata probabilmente quello che stiamo vedendo oggi per Wii U sarebbe già successo sei o sette anni fa. La combianzione di un’interfaccia utente motoria, così fuori dagli schemi (e che, con tutti i pad compatibili disponibili che si vuole, era il motivo stesso per cui la console di fatto vendeva), e l’uso di un’architettura di sistema debole e datata costringevano chi aveva un gioco per PS3 e Xbox 360 a rivederne sia l’engine che i principi di gameplay apposta per Wii, e diversi, nonostante la base d’utenza sulla carta enorme, hanno detto cortesemente di no.

E in una situazione così fuori dagli schemi la domanda necessaria da farsi era: “è destinata a durare?”, ovvero: “chi ha comprato Wii continuerà a seguire le piattaforme Nintendo di lì in avanti?”. Nintendo avrebbe dovuto rendersi conto che aveva attirato a sé una fascia di pubblico particolare, e che se voleva continuare immediatamente a viaggiare su quei numeri doveva in primo luogo rivolgersi ad essa. In alternativa, poteva benissimo decidere di “tornare alle origini”, e fare i propri calcoli di conseguenza, cioè sviluppare una console competitiva con le future PS4 e Xbox One. Una o l’altra, entrambe scelte valide.

 

Quella che hanno seguito davvero, e qui arriviamo a Wii U, è stata un’insensata via nel mezzo: non hanno fatto assolutamente niente per far sì che il grande successo di Wii presso il pubblico di Wii continuasse – creando una macchina con un nome confusionario per l’utente medio e fallendo nel pubblicizzarla in qualsiasi modo per almeno un anno – ma allo stesso tempo hanno preso alcune decisioni pesanti che si sarebbero rivelate tollerabili all’interno del sistema economico dell’industria videoludica solo nel caso avessero continuato a vendere console su console dal giorno del lancio in avanti.

Il pad è stato un passo indietro, ovvero uno giusto, nella direzione del mercato comune: fornire almeno un controller paragonabile a quelli su tutte le altre piattaforme. La cosa a cui mi riferisco è un’altra, che è passata più inosservata che in passato ma che è altrettanto, se non più folle: nel costruire Wii U, dal punto di vista tecnico, Nintendo ha pensato prima di tutto ai propri bisogni interni, senza neanche chiedersi che conseguenze quelle scelte avrebbero avuto inquadrando la macchina nel panorama globale.

L’hardware di Wii U non è mai stato ufficializzato con precisione (altro unicum dell’industria odierna), ma studiando i pezzi fisici si è capito con buona approssimazione cosa c’è dentro, e perché. La teoria più accreditata, ormai data quasi per certa, è che la CPU della console sia un 3 core da 1,24 GHz, basato ancora sull’architettura PowerPC 750, utilizzata per la prima volta nel 1997 e già introdotta nelle console Nintendo dal GameCube. Sì, gli Hertz non definiscono da soli la potenza, ma anche tutti gli altri pezzi sono di fascia medio-bassa persino per una console (2 GB di RAM, di cui quasi 1 per l’OS, e una GPU non certo potente), e che quello che in pratica si riesce a tirare fuori da quel sistema sia limitato lo dicono i fatti.

Se guardate la resa di svariati giochi multipiattaforma su Wii U vi renderete conto che non è così scontato dire che stiano girando meglio, con grafica e risoluzioni paragonabili, che su PS3 e Xbox 360, macchine di più di 5 anni più vecchie. E questo dovrebbe essere un campanello d’allarme bello grosso: è perfettamente comprensibile che un sistema con un’architettura poco ortodossa faccia più fatica di macchine coeve ma meglio conosciute, ma non lo è affatto che faccia più fatica di console della generazione prima, sempre e comunque. Non credo che chi dice che i giochi su Wii U girano così solo perché sono “ottimizzati male” si renda conto che in nessun caso la peggiore ottimizzazione che si ha a un anno dall’uscita della piattaforma, con un’architettura nota da 16 anni e così semplice possa provocare tanti problemi senza che intanto non ci siano neanche grossi benefici di grafica o risoluzione rispetto ad altre piattaforme.

 

(Xbox 360: 1024×600, PS3: 680×600, Wii U: 880×720; tutte con 2xMSAA)

 

(Su tutte e tre a 720p e con lo stesso particolare tipo di PPAA)

 

Ma che senso aveva, allora, usare in una console del 2012 destinata a durare anni un’architettura antiquata e fuori dagli standard generali? Semplice, a garantire a costo zero la retrocompatibilità con Wii. Wii usava la stessa architettura di Wii U, solo aveva un unico core da poco più della metà dei GHz; in questo modo, quando si mette un disco di Wii dentro Wii U tutto quello che il sistema deve fare per eseguirlo è accendere un solo core su tre e ridurre il clock alla velocità di quello di Wii.

Il problema è che, anche se questa è indubbiamente la soluzione migliore per garantire la retrocompatibilità, chiunque oggi non stia già sviluppando con Wii U in mente si trova davanti ad una conversione resa inutilmente difficile sia dalla differenza di architettura (PS4, Xbox One e PC sono tutti x86) che dalla scarsa potenza intrinseca alle sue spalle.

 

Il punto non è tanto se sia giusto o no voler spingere sulla grafica; il problema è che Nintendo ha consapevolmente deciso “se ai nostri studi interni non serve una macchina avanzata, ne farà a meno chiunque voglia pubblicare su di noi”. Questo perché non hanno avuto l’accortezza di capire che, opzione alternativa, le terze parti potevano tenersi le tecnologie avanzate e fare a meno di loro, cioè esattamente quello che sta succedento ora.

Avete presente i giochi cross-gen? Si nota facilmente che anche nelle versioni next-gen sono tecnicamente molto meno avanzati di altri titoli sempre sulle stesse piattaforme, ma solo next-gen. Confrontate Assassin’s Creed 4 e Assassin’s Creed Unity. Il motivo è che più è ampio il range dell’hardware su cui l’engine deve girare, peggio si sfrutta l’hardware migliore pur di mantenere vivo quello peggiore. Insomma, sviluppare oggi un gioco su Wii U, PS4 e Xbox One rende quasi in automatico il gioco tecnicamente più arretrato anche su PS4 e Xbox One che se lo si sviluppasse solo su PS4 e Xbox One.

 

Questa è una questione puramente tecnica. Ci si può passare sopra; lo si è fatto in passato. Tra PS1, Saturn e Nintendo 64, PS1 era sotto diversi aspetti quella più debole, eppure ha di fatto dettato gli standard, nessuno diceva “non usciremo su PS1 perché non ci permetterebbe di sfruttare appieno le capacità del Saturn”, seppure dal punto di vista tecnico sarebbe anche stato vero. Perché? Perché PS1 era la console più venduta e diffusa delle tre. Wii U è destinata ad essere quella meno venduta delle tre. Ed essere ultimi contemporaneamente in entrambe le categorie – e in entrambe per un tale distacco – porta a quello che sta succedendo ora.

Da sempre l’industria cerca un equilibrio tra lo sfruttare i mezzi a disposizione e includere un buon range di vie di mezzo, e Nintendo non si è neanche chiesta dove avrebbero finito per piazzarsi in una scala globale con questa Wii U, condannandosi quindi a stare sulla soglia – se non oltre – della tolleranza del sistema solo perché hanno perso una scommessa impossibile da vincere (fare un Wii-bis a sforzo zero) senza curarsi di avere un minimo paracadute d’emergenza (cioè un hardware che permettesse loro di “accodarsi” senza dare troppo fastidio a chiunque altro).

Wii U si è fatta un giro omaggio sulla scia di PS3 e Xbox 360, tecnicamente ed economicamente parlando, perché per quanto i vantaggi di pubblicare su Wii U fossero bassi i sacrifici necessari, già che in circolazione c’erano anche altri due sistemi così vecchi ma più fruttuosi, restavano altrettanto bassi. Guardando però ad un futuro scenario solo next-gen i vantaggi rimangono altrettanto bassi e i sacrifici si profilano molto più alti, il che significa che il passaggio gratis finisce qui, e che da ora in avanti probabilmente si va a piedi. Lo si vede già oggi, ad ogni nuovo gioco che viene annunciato per PS4, Xbox One e PC, ma non per Wii U.

 

Che dir si voglia, Nintendo ragiona da monopolista, ovvero come se tutto il mercato dipendesse da quello che decidono loro, e grazie a questa mentalità sono quasi vent’anni che stanno andando con fare sereno e noncurante verso un disastro annunciato. L’abbandono dei third party non è iniziato ieri, è iniziato con Nintendo 64, ovvero appena si è presentata un’alternativa credibile, ed è proseguito tranquillo e spaventosamente sottovalutato fino ad oggi. L’hardware di Wii U del tutto incapace di farla restare al passo con qualsiasi altra piattaforma maggiore, unita alla fanbase già “selezionata” da anni, ha solo dato il colpo di grazia alla poca inerzia rimasta ad un impianto folle e strutturalmente insostenibile.

 

Come rimediare?

Ah. Bella domanda.

 

Mi sembra di capire che Nintendo stia moltiplicando gli sforzi sulle esclusive, che anche se effettivamente a questo punto sembra la soluzione più razionale non può non suonarmi come l’ennesimo rilancio della stessa mentalità che ha portato fino a qui. Ok, ormai la frittata è fatta, la console è quella e dobbiamo tenercela, ma le esclusive devono essere solo parte del piano più ampio. Anche da sole, a meno di flop clamorosi, probabilmente terranno a galla la baracca per qualche anno, ma non possono essere la soluzione, perché, ironicamente, stanno finendo per essere parte del problema.

A Nintendo e a Wii U non mancano le esclusive, e pensarlo è una follia: quello che manca davvero è tutto il resto. Le eslcusive, in qualsiasi console contemporanea economicamente funzionante, servono ad attirare l’utenza verso una piattaforma piuttosto che un’altra, e poi sono tanto le esclusive quanto i multipiattaforma a portare soldi. Visto che da Nintendo i multipiattaforma stanno fuggendo, le esclusive si sono ridotte ad un tampone che riduce al minimo la fuoriuscita di sangue (continuando a piazzare qualche piattaforma), lo stesso tampone che li ha fatti arrivare vivi in qualche modo fino a qui; ma prima o poi, tampone o no, il sangue finirà: la vera soluzione è fare delle trasfusioni e poi fermare definitivamente l’emorraggia, perché, per quanti tamponi ci si metta, una volta che è fuori il sangue dentro da solo non ci torna.

 

E bisogna essere onesti e avere il coraggio di accettare che questa emorragia non è sfortuna o un complotto, ma si è andata a produrre con un lungo processo durato anni, iniziato e fomentato dalle scelte di Nintendo stessa e che l’azienda non ha mai davvero cercato di contrastare, anzi, di cui ha fatto sempre capire di non preoccuparsi affatto.

Il sogno vita natural durante di Nintendo è di poter sopravvivere come produttore maggiore di console senza dover dipendere in nessuna misura dai third party. Visto che il mercato di oggi è tendente all’aggregazione e al miscelamento, non solo per quanto riguarda i videogiochi ma addirittura in tutti i cosiddetti “nuovi media”, questa mentalità non ha nessuna speranza di portare da qualche parte, quindi o Nintendo si rende conto di stare ragionando all’antica in un mondo che è cambiato troppo oppure, prima o poi, sono destinati al collasso, o perlomeno il loro settore console fisse lo è.

 

Il problema è che se anche per Nintendo non è troppo tardi per riportare a bordo in numero sufficiente i third party, probabilmente lo è per Wii U. A farmelo pensare è tutta una combianzione di fattori, ma soprattutto l’hardware, che, mi spiace dirlo, in questo caso importa eccome, perché è semplicemente troppo arretrato rispetto alla concorrenza, e Nintendo è tutt’altro che nella posizione di avanzare pretese.

Quello di Wii U sarà un ciclo complicato, e bisognerà stare molto attenti a riuscire a tenerla a galla senza fare passi falsi, ma non può assolutamente essere la base da cui ripartire. Sì, le esclusive in arrivo venderanno delle console, ma vendere delle console e basta non serve a molto di per sé. Il sistema di una piattaforma moderna resiste, come ho spiegato, solo grazie alla combinazione di esclusive e multipiattaforma, e vendere un milione o due di Wii U ad ogni titolo maggiore Nintendo che arriva non cambierà le cose, se tanto quelle persone la comprano quasi esclusivamente per le esclusive Nintendo, magari addirittura come seconda o terza piattaforma.

 

E qui arriva la vera domanda: cosa farà Nintendo dopo Wii U? Avranno il coraggio di abbandonare un nuovo giro di retrocompatibilità e passare ad un’architettura x86? Capiranno che se non si adeguano in buona misura all’hardware degli altri, semplicemente, non verranno supportati più?

Il fatto è che la situazione è degenerata ad un livello per cui forse non basterebbe neanche più solo quello. Negli anni Nintendo si è estremizzata, ha estremizzato i propri titoli e ha estremizzato il proprio pubblico sempre di più: è ancora possibile una riconciliazione col “resto del mondo” su larga scala? Ovvero, come si fa a continuare a far comprare la console ai propri fan se si punta troppo al mercato comune, e dall’altra parte come si vende una macchina al mercato comune se si punta troppo sui fan, se ci si chiama oggi Nintendo? Sarà un equilibrio difficile da trovare.

 

 

Il tempo per chiudersi nei sogni sta finendo: bisogna darsi una svegliata, guardare come stanno davvero le cose a livello globale e agire di conseguenza in tempi rapidi.

Nintendo deve adeguarsi al resto del mercato console e fornirsi di una macchina competitiva, e non perché lo chiedono Sony, Microsoft, Ubisoft, Activision o chi volete, ma perché lo chiede il mercato stesso. Oppure, in alternativa, deve avere il coraggio di accettare di non poter sostenere questi ritmi e ridurre la propria offerta, ovvero produrre una piattaforma di fascia minore con giochi economicamente di fascia minore, dotandosi di una struttura imprenditoriale più snella e versatile e lavorando a titoli a budget ridotto, pensata per i soli fan e a quel punto sì funzionante, che potrebbe cadere in piedi senza problemi anche sul lungo periodo e almeno intanto stabilizzare la situazione.

Perché se invece non si cambia nulla, e si continua a spendere ancora e ancora cercando di raccimolare qualche vendita in qua e là in attesa di un miracolo impossibile che cancelli gli sbagli accumulati negli utlimi vent’anni, si può al massimo allungare questa lunga, lenta agonia per un altro po’, ma senza deviare di un centimetro il corso che ora sta inesorabilmente trascinando con la forza Nintendo verso una situazione che prima o poi si farà per forza di cose di non ritorno.