Cosa succede, Lorenzo? Perché la puntata di questa settimana è diversa dal solito?
Ottima domanda, Jimmy. Ora te lo spiego.
Tutte le volte che scrivo uno di questi articoli mi premuro di fare un giro su internet per studiare la situazione globale. Quelli di cui parlo sono giochi “minori”, se non completamente dimenticati, ma hanno anche quasi tutti in comune la caratteristica di essere finiti nell’oblio per la loro particolarità, per il loro essere stati creati in qualche modo nell’epoca sbagliata – troppo presto oppure troppo tardi – o molto semplicemente perché si sono persi nella massa. Insomma, non per scarsi giudizi critici.
Diversi dei titoli di cui ho già scritto nei mesi scorsi magari hanno pochi voti su siti come GameRankings o Metacritic, e sicuramente oscillanti, ma il grosso di essi si ferma da qualche parte tra 6 e 7,5, a denotare un’apprezzabilità ma non un successo incredibile.
Capirai quindi il mio stupore nello scoprire che uno dei titoli secondo me più ingiustamente dimenticati dell’era PS2 non è solo stato, appunto, dimenticato, ma all’epoca è stato letteralmente massacrato dai critici. Di solito non mi curo di queste cose e mi limito a descrivere il gioco del giorno, mescolando come me lo ricordo e come lo rivedo con gli occhi di oggi, ma in questo caso non me la sento di lasciare correre.
Ci sono voluti quasi 9 anni, ma Predator: Concrete Jungle sta ufficialmente per venire vendicato. Da me.
Dici davvero? Possibile che tutta la critica si sbagli di così tanto su un unico gioco? Non è che magari sei tu che-
Sta’ zitto, Jimmy, fammi parlare.
Prima di arrivare al gioco, stilo un piccolo compendio di quello che, per mia esperienza personale, va tenuto a mente quando si cercano recensioni di giochi, soprattutto di vecchi giochi: i 4 elementi completamente disconnessi dal gioco in sé che posso magicamente far abbassare i voti ad un buon titolo e mandare nell’abisso un titolo mediocre:
- Punto 1: prodotto da una casa di sviluppo anonima o senza precedenti illustri, soprattutto se non nata da poco
- Punto 2: uscito su macchine verso la fine del loro ciclo di vita
- Punto 3: che sembra dal titolo e dalla presentazione un innesto “a scrocco” su un franchise maggiore, videoludico o anche trans-media
- Punto 4: non tanto pubblicizzato, e quindi senza grandi aspettative costituitesi pre-lancio
Questa è una lista che oggi vale forse meno, perché ci sono fattori diversi in ballo nel “successo” delle testate giornalistiche (e perché il concetto stesso di “successo” è diventato molto opinabile), ma sono sicuro che almeno un paio di questi punti potrebbero fare tornare alla mente anche casi recenti che fanno storcere il naso.
Torniamo però a concentrarci sul nostro Predator. Come mai un gioco non banale, meno monotono di quasi tutto il parco titoli dell’epoca, graficamente un po’ sopra la media, neanche poi così corto o privo di contenuti e dal design artistico valido ha oggi su Metacritic un voto medio di 47/100?
Ci saranno tanti perché. Ma secondo me quei quattro punti che ho messo nero su bianco qui sopra posso aiutarci a rispondere.
PUNTO 1:
Lo sviluppatore di Concrete Jungle è tale Eurocom, società britannica che ha chiuso i battenti un anno e qualcosa fa. Vedo dalla sua pagina di Wikipedia che si è occupata nei suoi quasi vent’anni di attività dello sviluppo, ma soprattutto del port, di parecchi giochi.
I titoli di loro realizzazione più in vista sono sicuramente Tarzan (1999. Sì, quello per PS1 a cui state pensando), Crash Bash (2000), Sphinx and the Cursed Mummy (2003, e che in Italia vanta l’orrendo titolo “Sphinx e la mummia pasticciona”), il gioco ufficiale delle Olimpiadi di Atene 2004 (del, beh, 2004), Spyro: A Hero’s Tail (sempre 2004) e Dead Space: Extraction (2009). Un pedegree non malvagio, ma senza neanche una “grande hit” riconosciuta universalmente e non accompagnata da polemiche, se non forse proprio il vecchissimo gioco di Tarzan, a sua volta comunque parecchio dimenticato a livello internazionale.
Primo punto: confermato.
PUNTO 2:
Uscita di Predator: Concrete Jungle: aprile 2005. Esce solo su PS2 e Xbox; la prima, console del 1999 e che vedrà l’uscita della PS3 un anno e mezzo dopo (e il cui annuncio ufficiale avvenne all’E3 2005, ma che ovviamente era nell’aria già da precchio); la seconda, console del 2001 e il cui modello seguente, Xbox 360, era in arrivo da lì a pochi mesi.
Secondo punto: confermato.
PUNTO 3:
Qui piove sul bagnato.
L’unico gioco del franchise di Predator veramente famoso e unanimemente apprezzato è stato Alien versus Predator 2, uscito su PC nel 2001. Su PS2 e Xbox era uscito già nel 2003 un certo Alien Versus Predator: Extinction, che col titolo per PC non aveva assolutamente nulla a che fare e che era stato considerato dai critici appena sufficiente.
Nel 2004 è poi uscito il film Alien Versus Predator, che ha a sua volta ricevuto un giudizio mediocre ma che ha improvvisamente fatto scoppiare una “micro-mania” per il tema, da cui è scaturito tra le altre cose un gioco omonimo per telefono.
Ed è qui che esce Predator: Concrete Jungle. Non poteva esserci momento migliore.
Terzo punto: confermato.
PUNTO 4:
Mi è molto difficile ricostruire esattamente quanto il gioco in sé sia stato annunciato e pubblicizzato, ma su due cose sono sicuro: ci sono solo 14 voti su Metacritic, non esistono praticamente più recensioni integrali e sull’unica a me nota, quella di IGN, ci sono zero commenti, il che mi fa immaginare che non fosse stato anticipato così tanto; se guardiamo a cos’altro stava uscendo in quel periodo, sicuramente un bel po’ dell’attenzione di appassionati ed editori del settore era già occupata.
Devil May Cry 3 è uscito tra febbraio e marzo 2005, mentre in America sempre a marzo è uscito anche God of War (che è arrivato poi in Europa intorno a luglio). Tra febbraio e marzo stava arrivando fuori dal Giappone l’attesissimo Gran Turismo 4. In America Pokemon Smeraldo è uscito nel maggio 2005 (in Europa ad ottobre). Si sentivano poi ancora molto forti gli strascichi di GTA: San Andreas, che ha vissuto un’uscita dilatata dall’ottobre 2004 (PS2) al giugno 2005 (PC e Xbox). Resident Evil 4 è arrivato su GameCube a inizio 2005, con la conseguente uscita su PS2 sul finire dell’anno. Splinter Cell: Chaos Theory, marzo 2005.
E questo solo per dire quello che era appena uscito. Perché l’elenco è altrettanto, se non più lungo, per quello che era in arrivo nella seconda metà dell’anno.
Quarto punto: direi che possiamo darlo per confermato, magari non per abbandono ma di sicuro ai punti.
Ok, tutto questo è molto interessante, ma… il gioco?
Ed è qui il punto: il gioco non è in nessun mondo un quattro e qualcosa! Tantopiù non lo è come media finale di tutti i voti! Non capisco come si possa arrivare a questo risultato, anche essendo il più garantisti possibile e cercando di fare l’avvocato del diavolo.
Onde evitare di cadere subito dall’altra parte: Predator: Concrete Jungle non è “perfetto”, probabilmente in nulla. Non è certo questo che cerco di dimostrare. Ma ad una mediazione tra “bruttissimo” e “ottimo” si può e si deve arrivare, e non ci vuole poi tutto questo sforzo.
Avrei voluto tanto leggermi le 14 recensioni raccolte da Metacritic, ma una sola di esse esiste ancora per intero sul sito originale (quella di IGN), e ho l’impressione che anche molti dei siti stessi siano spariti. Dal poco che posso capire, comunque, le lamentele vanno letteralmente a coprire tutto, dal gameplay alla telecamera alle armi alla grafica alla storia a mio nonno.
Lo sguardo che ho sul gioco non può essere esattamente lo stesso che hanno avuto i recensori, perché quando l’ho conosciuto e imparato a giocare ero molto più giovane, ma mettendo insieme i ricordi e una seconda giocata quasi totale in questi giorni un paio di punti mi sembrano abbastanza chiari.
- La grafica non era “ottima” in termini di risoluzione e poligoni, ma gli ambienti avevano uno stile molto coeso grazie ad un design tutt’altro che abbandonato a se stesso, e l’impressione generale era decisamente tendente al positivo; questo andrebbe sommato ad una fluidità perfetta in un gioco con alcuni ambienti veramente grandi per l’epoca e una quantità di animazioni sorprendente e sorprendentemente ben fatta, oltre che perfettamente adatta al Predator
- Il gameplay era un po’ “grezzo”, ma andando avanti ci si faceva la mano, e comunque era vario e abbastanza divertente (nonché sicuramente appropriato al contesto); i salti sono la cosa in assoluto più difficile da regolare, ma praticamente mai è richiesta la precisione assoluta, e comunque si hanno a disposizione tutti gli strumenti necessari per farcela una volta che ci si abitua, questo grazie ad un sistema di controlli che fa veramente tutto il possibile per compensare alle proprie stesse lacune
- Ho visto tanti giochi tirati via, e se c’è una cosa che non si può proprio dire è che Concrete Jungle è stato tirato via: tutto, dai menù all’animazione del più semplice gesto passando per le opzioni, i trofei e la gestione dei salvataggi e delle missioni dà l’idea di essere stato realizzato con un minimo di razionalità e aggiustamenti, non in fretta e come veniva
- Sia per come è fatto il gameplay sia per come è impostata la storia, Concrete Jungle riesce a dare vita ad un connubio perfettamente riuscito ed unico di come un Predator, con il suo arsenale e le sue “tecniche di caccia”, si troverebbe ad affrontare gli eventi in questione, inquadrati molto più in un’ottica umana, e questa è una cosa che NESSUN film o gioco del franchise a me noto è mai riuscito a mettere in piedi, o anche solo ci ha provato
Non sono un super-fan della saga di Predator, se saga vogliamo chiamarla, ma non sono neanche un completo estraneo. Ho visto i due vecchi film, trovandoli entrambi, per gli standard di oggi, più che discreti. Ho giocato un pochino ad Alien vs. Predator 2, anche se non me lo ricordo perfettamente. Ho visto il nuovo Alien versus Predator, che era… passabile, e poi per mia sfortuna ho visto anche il rigurgito su pellicola comunemente detto Alien versus Predator 2. Quando è uscito al cinema ho visto persino il nuovo Predators, che mi è sembrato carino ma più che altro fan service. E, per concludere, ho recentemente giocato anche l’Alien versus Predator del 2009, che ho modestamente apprezzato… per le 4 ore e mezza circa che ci ho messo a finirlo.
Non ho mai letto un fumetto, di sicuro non ho giocato o anche solo mai visto il grosso dei giochi a tema realizzati nel corso della storia e ancora più di sicuro non sono un Predator-fanatico, solo un ragazzo come tanti che sa che esiste il franchise e a cui è capitato, da discreto appassionato di cinema e di videogiochi, di vederlo utilizzato in entrambi i media più di una volta.
Ciò nonostante (a 12/13 anni e col gioco che era ed è solo e completamente in inglese, sottotitoli inclusi) ho perfettamente capito la trama di Concrete Jungle, ho perfettamente capito come giocarci e – non del tutto a torto, riguardandolo ora – ero convinto che fosse uno dei TPS più originali e ispirati della mia libreria, e che di sicuro fosse un gioco divertente e che avevo voglia di provare a finire, pur dovendomici impegnare un po’.
I meriti oggettivi di Concrete Jungle sono diversi, e non mi capacito del perché nessuno abbia saputo, o forse anche solo provato, a valutarli come tali. Forse molti si aspettavano qualcosa di completamente diverso, sperando magari un titolo meno “libero” e più “accomodante” e immediato da giocare, in linea con quelli che stavano già diventando standard dell’epoca, oppure si voleva fare muro contro un titolo che se visto proprio solo con la coda dell’occhio potrebbe apparire violento e volgare a gratis… veramente, mi sto sforzando al massimo per giungere ad una motivazione para-razionale.
Qualunque spiegazione provi a darmi, comunque, quei quattro punti tornano sempre forti nella mia testa. Se ti arriva tra le mani da recensire un gioco per cui non nutri neanche mezza speranza, che sai non interessa a nessuno, inserito in un polverone enorme di titoli attesissimi e tutti rivelatisi di ottima qualità e in cui gli unici “problemi”, non gravissimi alla fine ma sempre evidenti, saltano fuori subito e ti accompagnano sempre, capisco che possa effettivamente diventare difficile cercare di andare oltre alla primissima facciata per guardare la cosa da più punti di vista, e che alla fine estremizzare e dire “no, fa schifo” in 20 righe venga molto più spontaneo che prendersene 50 per spiegare “potrebbe andare meglio, potrebbe andare peggio, qui va bene per questo, lì va male per quello”.
Va bene, mi hai incuriosito. Dimmi di più sul gioco
In primo luogo, la strutturazione dei livelli era unica, e l’esplorabilità ben oltre la media. Alcune missioni avevano luogo in piccole sezioni di città completamente aperte, in cui ci si poteva muovere con un’agilità, una fluidità e in definitiva uno stile che non avevo mai visto prima, veramente “da Predator”. I giochi “liberi” stavano già finendo, si era sempre più spesso resegati in corridoi attentamente studiati, che per quanto avessero delle splendide pareti tali rimanevano. In Concrete Jungle si unificavano la velocità e la dinamicità dei titoli moderni ai “piccoli mondi aperti” del boom del 3D, che come difetto principale avevano sempre avuto controlli legnosi e completamente irrealistici, qui discretamente arginati e aiutati dal fatto che, beh, un Predator può anche avere controlli “irrealistici” dal punto di vista umano.
Secondo punto, la varietà e lo stile del gameplay. Credo che mai si sia riusciti a rendere tanto bene la forza, la dinamicità e allo stesso tempo la brutalità di un Predator, e c’è la difficoltà aggiunta di farlo in un gioco del 2005 per PS2. In altre parole, Concrete Jungle non è forse propriamente un “Predator simulator”, ma non c’è dubbio che tutto quello che si fa è da Predator, e che sarebbe difficile chiedere di più.
L’arsenale è abbastanza vasto, permettendo di combattere in corpo a corpo con la combinazione di un’arma corta nella mano destra (artigli metallici o mano nuda) e una lunga nella sinistra (vari tipi di lance con lame montate sopra, tutte decisamente canoniche), permettendo un sistema di combo magari non proprio “necessario”, ma di sicuro apprezzabile. Si può diventare invisibili (abilità che, come da canone, si rompe momentaneamente se si entra a contatto con dell’acqua), si può sparare con il cannone al plasma, si hanno delle specie di mine di vari tipi, si ha persino una pistola che spara lance ad alta velocità. Ci sono poi le tre visioni alternative, tutte con il loro perché e sorprendentemente curate, e persino la visuale in prima persona che permette di “zoommare a scatti” (quella cosa lì; insomma, avete capito). Per finire si hanno le classiche cure e persino il registratore e ripetitore vocale, che si usa in alcune missioni oppure liberamente per mandare nel panico la gente.
I nemici sono molto simili tra loro, ma non mancano le varianti (tipo… dei dreadnought. Sì. E gli si può saltare sopra, aprire il “cofano” e strappare la testa dell’uomo menomato fuso in essi), e le boss fight, anche se non richiedono vere e proprie “strategie uniche” e si traducono in button mashing alternato a schivate, non sono poi così brutte. Uccidere i nemici comuni dà un minimo di soddisfazione, se non altro perché sono abbastanza “smontabili”. In questo gioco ci può mettere su un tetto, entrare in visuale in prima persona, zoommare, usare le visuali particolari del Predator per conoscere lo stato di salute, mentale, l’equipaggiamento e i punti deboli di chiunque si incontri, sparargli una lancia ipersonica nella testa staccandola e conficcandola nella superficie più vicina. Questo non è una cosa che “avrà appeal per i fan”, questa è una cosa che non ho mai visto in nessun gioco e anche decentemente ben fatta visti i mezzi a disposizione.
Che Dio mi fulmini, se si riesce a domare il sistema di movimento e si capisce come ragiona l’IA, cosa tutt’altro che impossibile, persino le fasi stealth funzionano bene, e sono arricchite da un serie notevole di esecuzioni che uccidono all’istante i nemici che si riesce a prendere da dietro. Il sistema di salti non è fatto per essere accomodante, ma non è eccessivamente legnoso (si può virare in volo, con un certo margine, e si può rimbalzare sulle pareti una volta per salto, addirittura in due modi diversi, manualmente cercando di reindirizzarsi e automaticamente nella direzione perpendicolare alla superficie a cui ci si appoggia) e quando ci si fa la mano ci si muove veramente come un Predator, piena velocità sia orizzontale che verticale, il tutto accompagnato da ambienti studiati con un minimo di intelligenza e da un comparto di animazioni straordinario.
La grafica e il modo in cui è stata valutata è una delle questioni che mi lascia più perplesso, e mi fa vedere chiaramente come qui “grafica” sia stato interpretato come sinonimo di “vertici dei modelli e pixel delle texture”. Credo che nessuno avesse il coraggio di dire nulla sul Predator in sé, che ha un modello davvero splendido per un gioco per PS2. Il resto era più altalenante, con alti e bassi vari dovuti a varie ragioni, su cui si può e deve fare alcune considerazioni.
I modelli di praticamente tutto tranne il Predator erano estremamente semplificati e alcune texture ambientali non erano certo belle, ma vorrei ricordare che si trattava di un semi-open world su PS2, quindi prima di autorizzare chiunque a definire “brutta” la grafica mi piacerebbe che tirasse fuori un titolo strutturalmente simile e decisamente migliore sotto questo aspetto, anche in relazione all’ottima fluidità generale che il gioco manteneva sempre. Per dirne una, la grafica di molte cose è leggermente peggio di quella di San Andreas, che però su PS2 se li sognava anche solo 30-40 frame fissi, essendo appunto un open-world su una console con 32 MB di RAM.
Oltre alle scuse, comunque, ci sono anche diversi fattori di redenzione. Bisogna pensare che per come è fatta la telecamera il gioco è pensato per essere visto un po’ “da lontano”, distanza da cui tutto è ben più che accettabile. Il design degli ambienti non è così semplice da apparire spoglio o innaturale, e tutto sembra più la riduzione visiva di qualcosa di molto complicato e pieno, cosa che immagino in effetti il gioco sia, ovvero che gli sviluppatori siano andati “togliendo dettaglio” nel corso dello sviluppo per arrivare ad una fluidità ottimale, che è decisamente più apprezzata in un gioco del genere, soprattutto quando la mancanza di dettaglio non genera per nulla confusione e non è un pugno nell’occhio, solo una riduzione della scala.
Se a questo sommiamo, come ho già detto, che l’impianto di animazioni e movimenti era sia perfettamente adatto al Predator sia parecchio vario e curato per gli standard dell’epoca (per le azioni che si finivano per compiere più spesso, ad esempio il salire su qualcosa dopo essersi appesi ad un suo lato, c’erano più movimenti che si alternavano casualmente di volta in volta), definire la grafica “brutta” mi sembra veramente eccessivo. Concrete Jungle raggiunge oggettivamente il massimo risultato possibile senza castrare la struttura dei livelli e senza cadere in abissi di framerate, e riesce a fare tutto questo rimanendo sempre visivamente molto chiaro e compatto. I miracoli non esistono, non in informatica, e per quanto ovviamente ci fosse un abisso tra questo gioco e i titoli tecnicamente più avanzati per PC anche proprio volendo fare gli schizzinosi ci si dovrebbe fermare sull'”accettabile”, perché di giochi, anche per PS2, con una grafica “inaccettabile” ne ho visti, e a questo non assomigliano proprio per niente.
Arrivati alla storia, il mio stupore per quello che ha scritto la critica cresce ancora. Non c’è una sola persona che sia stata neanche un minimo magnanima, immagino nell’ottica “già che tutto il resto lo sto massacrando, non ha senso impegnarsi per provare a salvare questo”. Pessimo, pessimo approccio.
Prima di dire qualsiasi cosa vorrei porre una domanda su cui credo nessuno abbia provato a soffermarsi: che tipo di storia può avere un gioco in cui si impersona un Predator? Tutti i film e giochi a me noti, questo escluso, hanno una delle due seguenti: 1) uno o più Predator si prendono una “zona di caccia” e iniziano ad uccidere le “prede” più interessanti che ci trovano, quindi sostanzialmente gente a caso; 2) uno o più Predator cercano di uccidere più Alien possibile prima di venire uccisi a loro volta.
Il solo fatto che Concrete Jungle provi a raccontare una trama vera con addirittura dei colpi di scena pur mantenendo sempre il Predator come protagonista unico e indiscusso gli dovrebbe valere dei punti. Il fatto che ci riesca anche parecchio bene gliene vale molti altri.
Se proprio morite dalla voglia di scoprire la storia integralmente, colpi di scena e finale inclusi, potete farlo tramite Wikipedia, dove è riassunta molto chiaramente e sinteticamente. Ci tengo solo ad appuntare che “Scarface” è il nomignolo con cui MOTHER chiama ironicamente il Predator, non “il suo nome”; spesso al contrario lo chiamano “il diavolo”. Per chi invece vuole la versione solo accennata e spoiler-free, non si muova da qui.
Nel 1930 un Predator fallisce parzialmente una missione sulla Terra, e a causa sua alcune delle tecnologie aliene finiscono in mani umane. Nonostante la canonica esplosione dell’astronave come estremo metodo per cercare di rimediare al fallimento il Predator sopravvive, per venire conseguentemente recuperato dai suoi simili e poi esiliato su un qualche pianeta alieno. Passano 100 anni e il Predator è ancora vivo, quindi gli viene offerta una possibilità di redimersi: gli umani, in possesso della tecnologia aliena, si sono sviluppati fino a creare (siamo logicamente nel 2030) una sorta di società distopica in cui i signori della mafia dettano legge e un super-computer chiamato MOTHER di fatto controlla la vita sulla Terra. È compito del Predator uccidere i responsabili dietro a tutto questo, ovvero i capi delle famiglie criminali, per rimediare ai danni da lui stesso provocati e riguadagnare il proprio onore e il proprio posto nella società.
Il gioco si svolge sia nel presente che nel passato, in parte mostrando cosa era successo quella notte del 1930 e per il resto facendo proseguire la vicenda nel 2030; i collegamenti tra i due momenti vanno oltre al Predator stesso, pur essendo a lui e a ciò che è successo strettamente vincolati. A narrare la trama è una voce femminile, su cui non anticipo nulla.
La narrazione, e in particolare i dialoghi, hanno dei momentanei cali, ma tutto alla fine scorre molto fluido e senza dare l’idea di stare facendo grossi salti. Ci sono delle situazioni un po’ tragicomiche non proprio riuscitissime (tipo, beh, tutto quello che riguarda El Hongo) che a qualcuno potrebbero sembrare fuori luogo, ma sono accuratamente isolate dai momenti “seri”, e dalla metà in poi del gioco, quando iniziano a venire fuori le cose importanti, si smette del tutto di scherzare.
Il fatto stesso che abbia paura di spoilerare la trama di un gioco di Predator dovrebbe farvi drizzare le antenne, e se proprio serve posso dirvelo io chiaro e tondo: non un Nobel alla sceneggiatura, ma molto, molto più di quanto sarebbe lecito aspettarsi, scritto bene e altrettanto bene narrato.
Come ho già detto, il gioco non è perfetto. Il problema, a volerla guardare così, è uno solo, che investe un po’ tutti i campi: questo è concettualmente un gioco per PS1, solo realizzato con gli strumenti offerti dalla PS2. Il senso di questo discorso è che la struttura di gioco è per così dire “vecchia”, cioè richiede che il giocatore abbia dello spirito d’inizitiva, lo si molla in ambienti aperti e dà tutti gli strumenti necessari, ma di sicuro non si spiega più del dovuto, e lascia molto spazio alla sperimentazione. Per sapere cosa dovete fare man mano potete aprire il menù e leggere la voce “obiettivi”, dopo tutto sarà abbastanza chiaro; ma, se non avete l’iniziativa di farlo, non capirete nulla, e vi troverete a vagare cercando di seguire vaghi accenni. In certi casi bisogna trovare degli oggetti sparsi per la mappa, spesso ci si può aiutare con le visioni alternative, a volte si può solo cercare; nulla di impossibile o eterno, ma ci vuole dello spirito d’iniziativa, perché se si legge l’obiettivo e si va subito nel panico chiedendosi “e ora dove devo andare?” non se ne cava nulla. Le visioni alternative, se anche non sono praticamente mai necessarie, se usate con intelligenza aiutano ad accorciare i tempi o ad evitare errori; ma sono tutte cose che vanno capite da soli, o per meglio dire intuite.
Posso immaginare che se non si ha la più pallida idea di come un Predator canonico è equipaggiato e non si ha neanche lo spirito di iniziativa necessario in molti titoli PS1 sia letteralmente impossibile solo “prendere il controller e partire”. Ma non posso dire che questo sia un problema, perché il gioco stesso dà, a chi le cerca, tutte le risposte, e l’impegno è ripagato. Per ottenere dei risultati bisogna provarci un po’ più duramente del solito, ma i risultati alla fine arrivano. Detta in modo ancora diverso, si può diventare bravi a Concrete Jungle, basta entrare nell’ottica che bisognerà imparare, non solo seguire la freccia a video.
Lo stesso discorso vale per tutto il resto, dai combattimenti ai salti alle fasi stealth: è tutto sicuramente fattibile, pur non sforzandosi di essere “elegante” o tantomeno “aggiustato dal gioco” e pronto per essere solo eseguito dal giocatore. Il fatto è che l’unione delle istruzioni che si ricevono, dell’esperienza che si fa del gioco stesso man mano che si va avanti e di un minimo di “ragionamento da Predator” fanno andare avanti, sempre e comunque, ed è questa la cosa che andrebbe guardata, soprattutto in un gioco del 2005.
Il secondo possibile difetto, che diventa effettivamente grave se già si aveva subìto in pieno il primo, è l’assenza totale di checkpoint nel corso delle missioni. Che sono da parte loro quasi tutte abbastanza corte, ma che proprio in quel paio di casi in cui si hanno magari dei tempi ristretti per fare qualcosa o per andare da qualche parte pena il fallimento automatico potrebbero essere un po’ più accomodanti, perché la punizione per una intuizione sbagliata o un’esitazione per prudenza diventa il doversela rigiocare tutta.
Ma questi, credetemi, diventano problemi abbastanza piccoli se vi fate prendere dallo stile generale del gioco e siete disposti a provare un paio di volte alcune parti. Il Predator di Concrete Jungle è uno dei miei canditati ufficiali come miglior personaggio silenzioso della generazione PS2, dato che ha degli atteggiamenti da vero e puro anti-eroe originale e che si riesce perfettamente ad immedesimarsi in lui pur non capendo una sola parola di quello che dice, e soprattutto in questo gioco SI GIOCA VERAMENTE DA PREDATOR.
Se siete fan di Predator, o anche solo vi piace lo stile… all’epoca questo era un 8,5 molto comodo, e oggi è calato davvero di poco. Se eravate solo videogiocatori comuni (e non eravate completamente cerebrolesi)… tanto sotto al 6,5 non credo si debba comunque scendere. Di sicuro non sotto al 6, e in nessun caso fino a 4,7. Questo gioco ha letteralmente pagato la svogliatezza e la poca propensione ad impegnarsi dei recensori, di alcuni più che di altri; e poi ci si lamenta che i giochi di oggi sono tutti troppo anti-idiota.
Ma io a chi devo credere? A te o a tutti i recensori del resto del mondo?
Beh, tanto per cominciare, Jimmy, dato che sei il MIO amico immaginario almeno tu potresti avere la cortesia di credere a ME.
Maaaaa… capisco perfettamente che tutti gli altri lettori, cioè quelli non interni alla mia stessa mente, potrebbero trovarsi molto in dubbio. Per fortuna non sono il solo a cantare questa canzone.
Sullo stesso Metacritic, dove il gioco ha un ufficiale 47/100, il voto medio degli utenti (che per la cronaca all’oggi sono 69) è un 9 tondo su 10. Capita spesso la cosa opposta, ovvero che un voto dei recensori venga anche più che dimezzato, ma non ho onestamente MAI visto un divario simile verso l’alto, almeno non dove ci sono più di una manciata di votanti da ambo le parti.
Mi piace pensare che ad almeno una sessantina di persone, vedendo la colpevole noncuranza dei critici ufficiali e conoscendo perfettamente il gioco, siano girati un po’ i cojones. Probabilmente sono molte di più, ma gli altri non hanno un account su Metacrtic, come ad esempio non ne ho uno io.
E a tutte queste persone chiedo, se ne hanno voglia, di farmelo e farvelo sapere, commentando qui sotto all’articolo – cosa che si può fare assolutamente senza bisogno di registrazioni o nient’altro. Datemi una mano a rendere giustizia a Concrete Jungle!
Se questo ancora non vi ha convinti… convincete voi stessi, provando il gioco se vi dovesse capitare tra le mani. Sono passati così tanti anni che dubito che la cifra da sborsare per portarsene a casa una copia sia tanto superiore ai 5 euro, quindi se siete in qualsiasi modo fan della serie di Predator fatemi e fatevi il favore di dare, nove anni dopo, una possibilità di redenzione a Predator: Concrete Jungle, perché non si meritava assolutamente neanche il pestaggio subìto al primo round. Se non conoscete Predator l’impatto col gioco potrebbe essere un po’ più traumatico, ma niente di super-criptico, solo dovrete fare un paio di esperimenti in più di chi può già immaginarsi come funzionino le cose.
Ok, mi hai convinto, lo prendo. Ah, aspetta, non serve ce l’h- ce l’abbiamo già. Alla prossima, gente.
Ben detto, Jimmy. Alla prossima.