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GamerGate: la frattura tra giornalismo istituzionalizzato e utenza si allarga

AGGIORNAMENTO (27/10/14):

Ho pubblicato un nuovo articolo sull’argomento, che fa riferimenti a questo ma rende obsoleta buona parte delle mie cautele. Se non ne avete letto nessuno dei due vi suggerisco comunque di partire da qui, per farvi un quadro globale più chiaro sia della situazione sia del discorso che porto avanti.

 

ARTICOLO ORIGINALE (19/10/14):

Avevo, di striscio e un po’ per sbaglio, parlato di questo argomento in un mio vecchio articolo in cui analizzavo l’affare Zoey Quinn e quello che vedevo attorno ad esso. In quell’articolo trattavo la vicenda da un punto di vista completamente diverso da quello che userò oggi; un punto di vista in cui ancora credo, ma che penso sia stato scalzato in gravità dalle ultime novità emerse per svariati ordini di grandezza.

 

Praticamente nessun giornale inglese tratta il caso GamerGate, oppure lo prende a pezzettini e presentandone selettivamente solo questo o quello sviluppo; ma di questo avrò ampio modo di parlare più avanti.

Non mi pare però che ci siano neanche giornali italiani sulla vicenda. Che, da parte sua, è effettivamente lontana dal nostro approccio nazionale al giornalismo videoludico, e lo dico come un complimento: la mia impressione è che qui quasi sempre i siti di videogiochi parlino davvero di videogiochi, o almeno ci mettano le migliori intenzioni. Come scrivevo anche nel vecchio articolo, è un clima ben più razionale, rilassato e composto soprattutto da persone che prendono quello che è un hobby come un hobby, per quanto appassionatamente e seriamente.

Quindi, visto il clima in cui entreremo fra poco, ci tengo a precisare che con questa pagina non intendo in nessun modo accusare qualche mio collega italiano o qualche rappresentante per il nostro Paese di sviluppatori o distributori videoludici di stare “coprendo” la vicenda, esercitando o nascondendo pressioni o nulla di simile. Non è una mossa per tutelarmi, lo penso sinceramente e non ho la minima ombra di dubbio. Ci metto io la mano sul fuoco per primo.

 

Vi prego anche di comprendere, vista la portata della vicenda e il terreno virtualmente non battuto che sto attraversando, la complicatezza di approcciarsi alla questione dagli angoli giusti, senza omettere nulla di importante e intanto evitando di trarre una conclusione affrettata o sbagliata su certi aspetti. Questo è, tecnicamente parlando, giornalismo investigativo.

 

 

Il caso Zoe Quinn in breve

A far scoppiare la scintilla è… un fidanzato tradito. Eron Gjoni è l’ex di una quasi ignota sviluppatrice di nome Zoe Quinn. Zoe lo tradisce e gli mente svariate volte, fino a quando i due si lasciano; Eron decide di raccontare pubblicamente tutta la vicenda aprendo un blog apposito, in cui pubblica una quantità industriale di foto, raccolte di messaggi e ovviamente la narrazione di cosa è successo nel corso del tempo.

Il problema è che tra le rivelazioni di Eron non ci sono solo affari sentimentali privati, ma anche vicende legate al lavoro di sviluppatrice di Zoe. Uno degli uomini con cui Zoe ha tradito Eron è un giornalista di Kotaku e Rock Paper Shotgun, tale Nathan Grayson, e più in generale Eron afferma che Zoe manipolasse varie personalità dell’industria per i propri fini personali.

 

È totalmente ininfluente ai fini dell’argomento di cui stiamo parlando.

Virtualmente sì. Lo dico perché la quantità di materiale fornito è esorbitante per pensare ad un banale falso, e la storia va a toccare fonti secondarie che hanno fornito delle conferme. Inoltre, se fosse tutto falso la cosa più semplice da fare per smentire la storia sarebbe stata, da parte di Zoe e di eventuali giornalisti coinvolti, raccontare quello che è realmente successo e contraddire Eron con altri fatti; nulla di simile accade, e nonostante la vicenda monti dal basso con una rapidità allarmante nessun giornale intende coprirla minimamente.

 

La nascita del GamerGate e la risposta che riceve

L’immediata conseguenza di queste pubblicazioni è un movimento “di folla” di notevoli dimensioni, anche se inizialmente difficile da tastare, per scoprire cosa esattamente succede dietro le quinte del giornalismo videoludico.

 

Per capire questo passaggio bisogna avere un po’ il polso della situazione dell’ambiente videoludico internazionale: da sempre ci sono state tensioni più o meno forti di certi forum e siti aggregatori contro alcuni giornali, alcune pratiche dei giornali o addirittura i giornali in senso lato.

Ci sono consistenti fasce d’utenza da anni in aperta ribellione contro il para-tabloidismo di parti dell’industria (un fenomeno di cui avevo parlato anche io), soprattutto contro la copertura e la difesa ad oltranza garantita a fenomeni mediatici come il “femminismo videoludico” di Anita Sarkeesian e altri selezionati personaggi simili a lei, e a cui in una certa misura Zoe Quinn pare legata.

Non mi stupisce quindi che, anche spontaneamente, un avvenimento un po’ marginale riesca a far scoppiare un movimento di massa di simili proporzioni. Quello del femminismo e di tutto quello che lo circonda è un tema estremamente sentito e polarizzante nell’internet internazionale, anche nella sua componente videoludica.

 

Nasce così GamerGate, un movimento che ha intenzione di andare oltre il silenzio dei giornali e scavare per conto proprio. Non saprei indicare uno o più chiari portavoce del gruppo, o almeno individui che dettano delle “linee d’azione”. I “membri” mi paiono muoversi più secondo una filosofia d’azione comune che appunto come un gruppo con nomi e cognomi registrati.

GamerGate, in sostanza, è la messa in forma di tutta una lunga serie di odi repressi da anni nei confronti di alcuni aspetti dell’industria videoludica, l’incanalamento lungo un’unica linea d’azione ben definita di sentimenti precedenti agli eventi scatenanti, che pure offrono un facile appiglio comune attorno a cui cominciare a muoversi.

 

 

Esiste una vera e propria indagine portata avanti da GamerGate, che scava in svariati rapporti sottobanco tra piccoli e grandi sviluppatori con i giornali e le istituzioni mediatiche videoludiche, a cui mi è onestamente difficile stare dietro perché i giornali non ne parlano virtualmente per nulla. Come ogni notizia non confermata o la cui conferma è difficile da verificare a sua volta, tutto quello che segue è da prendere con lo scetticismo minimo necessario.

 

Un piccolo sito di nome Gamesnosh riporta una possibile frode avvenuta riguardo l’assegnazione di un premio a Polytron e Phil Fish ai tempi dell’uscita di Fez, dove sembra che parte della giuria fosse economicamente coinvolta con lo studio di sviluppo. Sarebbe una cosa piuttosto seria, perché legata ad essa (oltre ad un premio in denaro di 30’000 dollari) c’è anche tutta la campagna “pubblicitaria” che i media hanno fornito a Fez, che ha permesso al gioco di emergere dalle nebbie dell’ignoto e di vendere ben più del gioco Indie medio. In sostanza, se fosse vero, per vie trasverse lo studio di Phil Fish avrebbe adoperato del nepotismo per finire al centro dell’attenzione mediatica.

 

Un altro piccolo sito, chiamato TechRaptor, inizia a parlare apertamente del movimento GamerGate appena il caso scoppia, a fine agosto (un esempio). Una cosa curiosa è che poco dopo il gruppo del sito su Reddit, uno dei maggiori aggregatori online (per chi non lo sapesse, è una specie di enorme forum in cui si creano anche gruppi simili a quelli di un social network. Immaginate se ogni gruppo su facebook avesse accesso ad un proprio vero e proprio blog personale, dove gli utenti sono in comune tra quelli dei vari gruppi), viene chiuso: i moderatori non vogliono che si parli del GamerGate su Reddit.

Svariate fonti riportano i modder di Reddit diventare sempre più attivi e intransigenti, vietando in sostanza di toccare l’argomento quasi del tutto; siamo ancora tra agosto e settembre. Non ho un’unica fonte chiara per tutto questo, ma la cosa viene unanimemente data per assodata da chiunque parli dell’argomento, e trattandosi in maggior parte di persone che vivono direttamente immersi nell’ambiente mi sembra impossibile che mentano tutti e nessuno li contraddica. Una decina di giorni dopo spunta fuori un’intervista con un presunto modder di Reddit, che vuole rimanere anonimo e che descrive in sostanza uno scenario da regime totalitario dietro le quinte.

 

Il 20 agosto Stephen Totilo, il direttore di Kotaku, pubblica un comunicato per dire che in sostanza conosce la storia di Zoe Quinn ma ha controllato personalmente che la cosa non abbia influito sugli articoli di Grayson. Il che è effettivamente vero, l’unico articolo di Grayson in cui si nomina il gioco di Zoe Quinn, Depression Quest, lo fa a dir poco di sfuggita e non a sproposito. Ma da allora, quando tutto il resto inizia a venire a galla, per quello che so scatta il silenzio più totale.

The Escapist è l’unico grande giornale in assoluto a parlare apertamente dei temi del GamerGate, e lo fa l’8 settembre con questo articolo.

 

La linea è molto sottile. Sì, ci sono, ma non credo che da soli bastino a trarre conclusioni definitive.

Che dir si voglia, Anita Sarkeesian è stata ed è un fenomeno promosso principalmente da alcuni giornali internazionali, che non pèrdono occasione di portare in prima pagina lei, i suoi video e tutta una serie di tematiche in perfetta coincidenza con la sua agenda sociale, schierandosi sempre più o meno apertamente con lei. E non dimentichiamoci mai che questo e questo articolo sono davvero usciti su Eurogamer.net, uno dei maggiori siti del settore, scritti dal suo ex-direttore Tom Bramwell.

Persino quando altre personalità dello stesso ambiente di Anita, cioè elementi di prestigio del panorama femminista, la contraddicono, i siti videoludici alzano un muro di scudi e lance per difenderla e diffamare frettolosamente i suoi contendenti. Guardate per esempio questo video e cosa ne pensano Polygon (prima gli attacchi personali e poi la musichetta canzonatoria) e GameSpot. Ripeto, avevo io stesso parlato estesamente in passato di un caso di evidente montatura mediatica pretestuosa.

Ma, come avevo scritto allora e come ripeto adesso, la predisposizione verso alcuni argomenti non basta a dimostrare una collusione diretta, per la semplice ragione che se il tema porta visualizzazioni quello è già un motivo più che sufficiente per pomparlo.

Sta succedendo un gran casino, e vedendo le cose solo da fuori è molto difficile capire chiaramente cosa sia vero, cosa sia falso e cosa sia credibile ma non confermato. Non approfondisco la questione di Reddit perché è un ambiente che non conosco, ma posso assicurarvi (come avevo già fatto notare) che persino NeoGAF aveva palesemente tamponato l’argomento. Allora credevo fosse per pura prudenza, ora nella mia testa le motivazioni sono più grigie.

Una cosa su cui mi sento sicuro, già anche solo con quello che ho riportato fino ad ora, è che non sia tutta finzione e basta. Le parti in ballo sono troppo grosse e si muovono in un modo troppo anormale per permettermi di bollare tutta la vicenda come paranoie o bugie. C’è troppo movimento, troppi richiami incrociati, troppe prove, troppe crepe nella facciata per pensare a coincidenze e costruzioni, è semplicemente inconcepibile. Una rondine non fa primavera, ma qui c’è tutto il dannato stormo.

 

La mailing list GameJournoPros della “cupola giornalistica”

Qui arriva la “bomba”, o presunta tale.

Un giornalista della testata online (non videoludica) Breitbart London, di nome Milo Yiannopoulos, prende a cuore l’argomento e inizia a dire la sua. Pubblica più articoli su/contro la tendenza pro-femminismo estremo che si è introdotta nel giornalismo videoludico; alcuni (come questo, ad esempio) sono poco più di pezzi d’opinione, anche se supportati da informazioni recenti e/o inedite “oscurate” da tutti i grandi giornali di settore, ma quattro di essi espongono una vicenda enorme che coinvolge praticamente tutta la grande stampa internazionale.

 

Gli articoli in questione sono questoquesto, questo e questo. Milo entra parecchio nei dettagli e mostra una buona dose di screenshot e quant’altro, anche se ovviamente manca una prova “inconfutabile” che sia tutto vero (prova che sarebbe difficile da presentare in ogni caso).

La sostanza è la seguente: esisterebbe una mailing list privata di Google, chiamata Gaming Journalism Professionals o GameJournoPros, tramite cui circa 150 giornalisti più o meno celebri discuterebbero tra di loro riguardo quali casi coprire, quali non coprire e in che modo farlo. Durante il caso Zoe Quinn ci sarebbero conversazioni sulla possibilità se trattarlo o no nei vari siti di ognuno e come fare, dove addirittura alcuni editori si offrirebbero di scriverne e altri – di altri giornali – li scoraggerebbero fortemente.

 

Supposta email di Kyle Orland, giornalista di Ars Tecnica, riguardo il caso Zoe Quinn. Orland si direbbe disposto per quanto lo riguarda a trattare la vicenda sul proprio sito, ma non sarebbe intenzionato a farlo perché Zoe stessa avrebbe chiesto di non dedicare spazio alle sue vicende private. Definirebbe le persone che hanno sollevato la questione “stronzi” e quella dell’etica giornalistica una “scusa del cazzo” per gli “attacchi personali” mossi a Zoe.

 

Presunte email di Ben Kuchera, giornalista di Polygon, riguardo il caso Zoe Quinn. Kuchera definirebbe “molestie” la creazione di un thread sui forum di The Escapist che tratta la vicenda, passata sotto silenzio dai giornali.

 

Negli articoli che vi ho linkato ci sono altre mail e svariate trascrizioni. Particolarmente sconvolgente il presunto commento di William-O-Neal, direttore di TechRadar.com, che nel corso di una discussione ancora una volta su cosa fare del caso Zoe Quinn scriverebbe:

Chi qui non ha dormito con un addetto alle pubbliche relazioni o uno sviluppatore? #AMIRITE [cioè “ho ragione o no?”]

mentre si parlerebbe di scriverle una lettera pubblica congiunta o cos’altro fare come gesto di solidarietà, e qualcuno (nello specifico Mike Futter di GameInformer, almeno nel pezzo di dialogo riportato) se ne tirerebbe fuori perché tutta la faccenda gli sembra troppo sporca.

 

C’è infine un elenco completo delle persone presenti nella mailing list. L’elenco è mostrato in degli screenshot, che trovate qui, ma è anche riportato a mano con tanto di siti affiliati. Lo copio e incollo esattamente così com’è, perché preferisco non metterci del mio e andare a toccare nulla rispetto all’originale:

Nella lista figurerebbero 3 attuali dipendenti di GameSpot, 3 di Giant Bomb, 4 di Destructoid, 5 di Wired, 7 di Kotaku, 8 di IGN, 9 di The Escapist, 11 di Polygon e addirittura 12 di Joystiq, più ovviamente svariati altri giornalisti e collaboratori per vari giornali di medie dimensioni. Gli unici due siti di grossa portata senza neanche un nome nella lista che mi vengono in mente sono Rock Paper Shotgun e GameTrailers.

Sì, lo sono.

No, non lo sono.

Che una fetta del giornalismo videoludico internazionale si è organizzato secondo modalità come minimo poco consone e appropriate. Non tutte le persone della mailing list dovrebbero essere dei criminali cospiratori, e tantomeno tutti i giornalisti loro colleghi, ma sta di fatto che l’esistenza di una “cerchia” simile, non dichiarata e che discute in questi termini sugli avvenimenti dell’industria e su cosa selettivamente trattare e cosa no, cosa spingere e cosa frenare, anche solo in minima misura, di fatto taglierebbe le gambe al principio di concorrenza e alla trasparenza che una stampa ufficialmente “indipendente” richiede.

 

Il punto della situazione

Quello che segue è una mia personale riflessione sulla vicenda.

 

Che il giornalismo internazionale segua delle “tendenze” poco limpide e palesemente pretestuose è storia vecchia e corroborata oltre ogni ragionevole dubbio. Aprite siti come Kotaku, Polygon, GameSpot e via dicendo, e scorrendo la cronologia delle pubblicazioni vedrete costanti menzioni e casi riguardo questioni sociali e para-politiche che non si capisce a che titolo abbiano a che vedere con l’industria videoludica per come, mi viene da dire, verrebbe “naturalmente” da prenderla. Il grande dubbio è quanta organizzazione ci sia dietro e quanto invece sia “solo” una spinta di temi che per un motivo o per l’altro fanno tendenza tra il pubblico.

Il che allarga il problema ad una riflessione ben più ampia: di cosa ha senso che un giornale videoludico si occupi. L’ovvia risposta è “di quel che gli pare”, visto che c’è libertà d’espressione, come di solito si dice su internet. La parte non scontata di questa presa di posizione è però che se una porzione non insignificante del grande giornalismo fosse davvero organizzata per discutere di questi temi, scegliendo con motivazioni non dichiarate di buttarsi su certi casi e di oscurarne altri, allora sorgerebbero palesi problemi di ordine etico impossibili da minimizzare con il semplice motto “ognuno può dire quel che vuole”.

 

Se mi permettete un approccio filosofico, la semplice ricerca di un “colpevole” in questo ipotetico scenario – parlando più generalmente di GamerGate – sarebbe una concezione riduttiva. Quello a cui stiamo assistendo è un vero e proprio moto rivoluzionario, che non fa pressione per applicare delle regole, ma per costruirne di nuove sulle ceneri delle vecchie.

Molti di voi, suppongo, sono poco in confidenza con altri settori di internet; penso che se li conosceste vi rendereste conto che questo processo si è già verificato in altri rami, e ci sono addirittura gli estremi per ipotizzare una “contaminazione” culturale più ampia.

 

Volendola fare molto, molto breve, su svariati social network (Tumblr ne è la bandiera) frequentati soprattutto da madrelingua inglesi masse notevoli di persone tendenzialmente molto giovani e/o poco istruite si inventano interi universi di fantasia tramite i quali si estraniano dalla realtà. Aprite il suddetto Tumblr, e troverete una vera e propria fiera del vittimismo: la gente fa a gara per apparire più “progressista” e “diversa”, allo stesso tempo dimostrandosi intollerante verso tutto e tutti, arrivando ad inventarsi e prendendo sul serio cose da manicomio – più che altro discriminazioni da parte di qualsiasi gruppo etnico/sociale/biologico nei confronti di qualsiasi altro – per non voler ammettere di avere un problema e allo stesso tempo per mettersi al centro dell’attenzione.

So che se non ci siete dentro vi sarà difficile capire la portata della cosa solo con queste mie poche righe, quindi vi rimando a uno dei tanti possibili esempi per toccare la situazione con mano: InternetAristocrat, un opinionista di YouTube  – che a modo suo sta parlando anche del GamerGate – ha realizzato un’interessante serie proprio a tema Tumblr: su YT trovate la playlist, più il terzo episodio eliminato e ricaricato. Come dice lui stesso in uno di questi video (e come dimostra), siamo al punto in cui è oggettivamente impossibile distinguere le palesi trollate dalle cose pensate per essere prese seriamente, da tanto che queste ultime si sono fatte folli e ridicole.

 

Ecco, la mia impressione, dopo un periodo di studio della situazione dell’internet internazionale anche al di fuori dall’ambiente videoludico, è che questa macro-tendenza al vittimismo con queste modalità si sia da un po’ di tempo a questa parte impiantata nel settore videoludico, e lo abbia fatto in parte sotto forme “autoctone” (che saltano fuori, a ben vedere, in questo mio altro vecchio articolo) e in parte tirandosi dentro vecchi modelli e motti – leggasi “femminismo da blog” (o come volete chiamarlo).

Il fatto che i grossi siti siano in maggioranza proprio quelli che assecondano di più queste tendenze, chi più la prima chi la seconda, è peculiare. Cosa significa, esattamente? Che la massa di queste persone è maggioritaria tra l’utenza globale? O che queste idee hanno rapidamente “infettato” anche buona parte del pubblico base videoludico? E i giornali stessi sono causa, conseguenza o un po’ entrambe? Sono diventati famosi i giornali di queste tendenze, o i giornali famosi hanno influito sulla formazione di queste tendenze? Capire se è nato prima l’uovo o la gallina non è per nulla banale, soprattutto in uno scenario così complicato, spezzettato e insondabile fino in fondo.

 

Quello che penso di potervi dire con buona sicurezza è quanto segue.

 

Il giornalismo italiano, ma soprattutto l’utenza italiana, è ancora relativamente salva da tutto questo. Non lo definirei a campione un pubblico super-informato, come nessun pubblico minimamente di massa può esserlo, ma parlando con diverse persone che mi scrivono per via di GameBack, su YouTube, su altri siti e anche con individui che conosco nella vita reale, dietro a praticamente ogni discussione c’è una testa pensante che non si è ancora conformata alla “logica della vittima”.

Insomma, qualcuno fa, secondo me, qualche uscita senza senso e si convince di idiozie, o inciampa su temi mal spiegati o difficili, o occasionalmente fa “il furbetto” – e con tutto questo mi riferisco sia ai giornalisti che agli utenti -, ma non c’è uno scenario neanche vicino a quello da complotto globale. Chi scrive di videogiochi e chi legge di videogiochi ha i videogiochi nella testa al primo posto, non complessi di vittimismo da ospedale psichiatrico o metodi per far leva su di essi.

 

Il giornalismo internazionale, e in parte l’utenza internazionale, è sulle soglie di una frattura sconvolgente, che nel GamerGate stesso sta forse definitivamente prendendo forma. Proprio per via delle tendenze extra-videoludiche di molti giornali si è venuta a formare nel tempo un’immensa frangia di utenza che ha deciso di non avere bisogno dei giornali. Questa frangia a sua volta si divide tra chi si affida a personalità indipendenti (TotalBiscuit, Angry Joe e altri youtuber o “cani sciolti” che lavorano più o meno in proprio tramite canali non convenzionali) e chi crede di non avere bisogno di nessuno e di poter auto-gestire l’informazione tramite forum e social network.

E il giornalismo tradizionale rifiuta questi argomenti, esattamente come rifiuta di trattare il GamerGate onestamente e a viso aperto, attirando su di sé automaticamente come minimo dei sospetti di malafede. Un fenomeno enorme e di lunga data viene completamente passato sotto silenzio da anni, non si vuole ammettere l’influenza che hanno queste persone, al punto in cui quasi sembra vietato nominarli. Quando PewDiePie ha fatto un video su Flappy Bird e lo ha letteralmente reso il gioco più popolare del mese, i giornali guardavano i loro utenti, alzavano le spalle e dicevano “Chissà come mai è famoso così di colpo… bah, misteri”.

Gli utenti “rivoluzionari”, soprattutto quelli nel mezzo tra i due estremi (cioè chi vuole un giornalismo, ma lo cerca in forma alternativa ai giornali classici), sono tantissimi. Recentemente Steam ha aggiunto la possibilità di gruppi che facciano da “Curatori”, ovvero propongano liste di giochi consigliati che chiunque può seguire. Sul podio troviamo Jim Sterling (72’000 follower), PC Gamer (100’000) e TotalBiscuit (300’000). Il gruppo di Rock Paper Shotgun è a 60’000, e nessun altro giornale tradizionale famoso di per sé va anche solo vicino ai 50’000. Kotaku ne ha 36’000, IGN appena 12’000, e sono due dei più letti in assoluto.

 

Non ho fortunatamente bisogno di trattare a fondo l’argomento del “femminismo da blog” applicato ai videogiochi, perché da noi è tutt’altro che un tema scottante (cioè, quando qualcuno riporta qualche notizia su di esso anche qui tutti danno di matto, ma almeno non siamo ridotti ad inventarci paranoie aggiuntive che siano farina del nostro sacco), ma ci tengo a farvi sapere che in altri ambienti di internet è un fenomeno più vecchio, per cui è stato inquadrato meglio e trattato con sguardo più oculato già da tempo. Il “femminismo da blog” si è introdotto anni fa nella comunità atea internazionale, per fare un esempio, e a furia di insistere ha provocato una vera e propria scissione – come quella che anche per i videogiochi è di fatto in atto – dove tutti gli “estremisti” si sono prima isolati con la creazione di piattaforme come Atheism Plus, nel tempo hanno perso di inerzia e sono rimasti completamente soli.

Il canale YouTube The Amazing Atheist ha realizzato svariati video sul femminismo e in particolare sul “femminismo da blog”, ad esempio questo, questo, questo, questo o questo. Un altro nome che va per forza citato è quello di Thunderf00t, uno scienziato che normalmente tratta sul proprio canale tesi creazioniste, anti-scientifiche o bufale mediatiche, ma che discute spesso del “femminismo da blog” e ha anche realizzato una quantità industriale di video in cui confuta con una metodicità e una pazienza non da tutti virtualmente ogni singola idea portata avanti da Anita Sarkeesian (potete trovare alcuni dei suoi video qui, qui, qui, quiqui e qui). Su un versante più leggero e esterno anche all’ambiente strettamente ateo, è diventato piuttosto famoso un video di Shoe0nHead sul tema. Lo stesso InternetAristocrat dedicava un video all’approdo di questa cultura nel mondo videoludico, addirittura già ai tempi dell’E3 2013; come da sua abitudine è estremamente netto e non lascia spazio a mezze misure, ma mi trovo piuttosto d’accordo con i passaggi che ricostruisce, anche se credo faccia un po’ troppo di tutta l’erba un fascio.

Ovviamente il punto qui non ha nulla a che vedere con l’ateismo o altro, ho scelto questi esempi puramente perché mi sono sembrati quelli più alla mano per farvi capire i concetti di cui sto parlando. I giornali videoludici pubblicano e coprono solo una delle due voci coinvolte nella discussione, io vi ho dato per una volta un assaggio anche dell’altra; decidete da voi cosa farne.

 

Tutto questo è a monte e a prescindere dalle indagini di GamerGate e da come andrebbero prese.

 

Per come la vedo io, i giornali internazionali possono essere messi sotto processo per due diversi “reati”.

Il primo, che è “reato” solo fintanto che si cerca di difendere una certa concezione di videogiochi e di cultura videoludica, è quello di avere “corrotto” l’ambiente videoludico consapevolmente e ripetutamente facendolo scivolare sempre di più in tematiche pretestuose e completamente scollegate dai videogiochi stessi. Questa è una denuncia facile da fare e da cogliere, che io stesso ho mosso in passato e che non intendo in nessun modo ritrattare. Se contesti dedicati puramente a tematiche sociali possono essere sede di discussione per il femminismo o qualsiasi altra teoria, i videogiochi non dovrebbero. Per quanto mi riguarda, qui c’è ben poco da discutere.

Il secondo, molto più grave ma ben più difficile da dimostrare, è che queste manipolazioni non siano eventi spontanei e dettati da pure mosse di mercato, ma che si sia costituita una vera e propria cupola per manovrare questi flussi di pensiero e, molto peggio, per pilotare l’opinione pubblica dove fa comodo agli amici e agli amici degli amici. Questo è quello che sta cercando di dimostrare GamerGate, ma le “prove” a disposizione non sono sufficienti per un giudizio oltre ogni ombra di dubbio in nessuna direzione, e forse non lo saranno mai.

 

Ci tengo comunque a precisare che la cosa che mi fa più specie è come tutti i giornali non combattano, non rispondano alle accuse, ma si limitino a presentare, per l’ennesima volta, la solita Anita Sarkeesian come vittima delle solite minacce anonime di qualche squilibrato, e usino le azioni di un gruppo infinitesimale di persone per spazzare con noncuranza tutto sotto il tappeto e bollare un intero movimento – guarda caso ostile – come il diavolo in persona, l’anticristo dei videogiochi e la fine del mondo come lo conosciamo. Scommetto che avete letto in giro articoli con titoli come “Il fallimento del GamerGate” o cose simili, senza che fosse neanche stato spiegato cos’era il GamerGate in primo luogo e assolutamente senza riportare e confutare le accuse che ha mosso al giornalismo.

Se vogliamo poi essere pignoli e vagliare ogni ipotesi, come sto cercando di fare per entrambe le parti della contesa, chi ci assicura che non sia Anita stessa tramite qualche collaboratore a mandarsi in giro per internet finte minacce, in modo da poter fare la vittima il secondo dopo su Twitter? Di sicuro ne avrebbe tutti i mezzi e le motivazioni. Non sto dicendo che è così (qualcuno lo dice, tra l’altro), sto solo facendo notare che come unico sostegno alla tesi che il GamerGate sia solo odio sessista o paranoico da spazzare via senza neanche guardarlo in faccia è inconcepibilmente debole, e non riesco a figurarmi come un giornalista possa davvero pensare che sia una risposta seria e completa a tutto quello che si sta muovendo.

Mi ricorda tanto quanto Tom Bramwell di Eurogamer fingeva che le decine di risposte argomentate e serie alle sue tesi femministe non esistessero, e bollava tutti quelli che gli davano contro come “sessisti che non facevano altro che insultare”: in fondo alla sezione commenti c’erano degli insulti, ma ovviamenete non rappresentavano tutti i commentatori, e neanche la maggior parte di essi (vedere qui; il profilo di Bramwell si chiama “Mugwum”).

 

Per l’ennesima volta, la sensazione che ho è che si stia cercando di discolparsi proponendosi a propria volta come vittime di qualcun altro, che ovviamente non basta. Se rapino una banca e il giorno dopo uno per strada mi dà un pugno senza motivo, la banca l’ho ancora rapinata, la violenza subita non elimina il reato commesso.

A questo aggiungiamo che il vittimismo cronico e selettivo è la stessa, malata abitudine di cui il giornalismo è sotto accusa da anni, e barricarsi dietro ad esso come unica forma di risposta alla parte avversa è un pessimo segnale, che in molti interpreteranno di conseguenza. Se davvero deve verificarsi una spaccatura, o almeno deve rendersi palese una già esistente da tempo, di sicuro i giornali non stanno aiutando ad evitarla.

 

Ho la sensazione di stare inziando a ripetermi, quindi forse è il caso di chiuderla qui per oggi. Spero di avervi almeno dato un’idea esaustiva della situazione.