RetroGaming è una rubrica che guarda al passato dei videogiochi per rapportarlo al presente – in altre parole, pesco un vecchio gioco che conosco da più o meno tempo e cerco di analizzarlo sia inquadrandolo nella sua epoca storica sia mettendomi nei panni di doverlo giocare oggi come videogiocatore moderno. Esce al sabato, con cadenza bisettimanale.
Dovete sapere che sono abbastanza un appassionato di RPG, anche e soprattutto di vecchi RPG. Non “vecchi” da anni ’80, quelli sono un po’ troppo “tavolosi” per i miei gusti; diciamo dagli anni ’90 in avanti. A proposito, originariamente l’articolo di questa settimana doveva riguardare un RPG isometrico, ma sto avendo serie difficoltà a compiere alcun tipo di progresso in esso, quindi mi sono preso un po’ più di tempo e sono passato ad altro. Alla prossima, suppongo.
Ad ogni modo, qualche mese fa ho scoperto dell’esistenza di questo RPG chiamato Enclave, che non avevo mai sentito prima ma che parecchi sembrano conoscere. È uno dei primissimi titoli di Starbreeze Studios, che si è messo recentemente in mostra con Brothers: A Tale of Two Sons, e dalle immagini sembrava un gioco interessante per il suo tempo. E a modo proprio è entrambi, ma decisamente non come mi era stato descritto.
In realtà Enclave non è decisamente un RPG, e non ho idea del perché qualcuno lo chiami così. Ma è lo stesso un buon gioco? Cerchiamo di capirlo.
Enclave è un TPS/FPS (la barra è perché si può passare dalla visuale in terza persona a quella in prima quando si vuole premendo un tasto). Non voglio dire che è un RPG giocabile in terza o in prima persona, come ad esempio Skyrim: è un TPS, lineare e a missioni in sequenza. E con dei comandi puramente da sparatutto. Questo non è un RPG, punto. Piantatela di chiamare “RPG” ogni cosa in cui ci sono elfi e draghi, non funziona così.
Il gioco ha due campagne, una delle forze della luce e una di quelle delle tenebre. La trama è… pietosamente evitabile. Sul serio, non volete perdere due minuti della vostra vita leggendola, e io non voglio perderne neanche uno cercando di dare un senso al perché elfi e nani per affrontare goblin e orchetti attraversano il mare e chiedono aiuto alle legioni romane. Semplicemente no. Ah, e ovviamente oltre a non avere un perché già di suo finisce con un cliffhanger completamente gratuito e inutile.
Il gioco inizia con uno dei menù più strani e belli che abbia mai visto: una specie di condor metallico ospita sulla schiena le varie voci, con un’interessante combinazione di filmati e immagini statiche di selezione che si alternano e incastrano alla perfezione; ritorna nei menù di tutto il gioco, ed è sempre fatto davvero bene. Sono abbastanza sicuro sia uno dei primi esempi di menù “vivente” e in assoluto uno dei meglio riusciti prima dell’epoca in cui ci si poteva permettere di avere modelli 3D in tempo reale anche durante quelli.
L’unica cosa che non ho capito è che accidenti dovrebbe essere quel condor, e cosa c’entri col gioco. Ma, beh, poco male.
Enclave sembra promettersi di mettere dentro tutti gli scenari possibili immaginibili per un titolo fantasy e non solo. Alcuni ambienti sono realizzati veramente con cura, altri sono sicuramente originali, ma non mancano gli evergreen, ovvero grigi e spigolosi villaggi.
Nella campagna della luce gli ambienti iniziano molto standard e poi con calma variano, ma a parte la missione nell’edificio subacqueo e, beh, i romani, non ho visto niente di davvero nuovo o anche solo un po’ fuori dal modello “gioco fantasy con spade”. Il castello. Il borgo. L’underworld. Wow. Mancano solo il deserto e la terra innevata, poi abbiamo coperto tutti gli stereotipi copribili possibili. Voglio dire, se questi scenari fossero realizzati in modo innovativo, o almeno movimentato, li capirei, ma sono veramente il compitino minimo indispensabile. E non è che Enclave sia uno dei primi giochi fantasy a mettere in 3D ambienti simili.
La campagna delle tenebre è quella in cui gli sviluppatori hanno palesemente messo più originalità e lavoro, rendendola se non altro varia e ambientata in location non tutte indirizzate a far venire la claustrofobia al giocatore. Ma anche quella non credo brilli veramente per niente, riuscendo per lo meno, a differenza del grosso delle missioni della luce, ad avere quel tocco fantasy “straniante” dei giochi degli anni ’90 con ambienti enormi ma piatti e un po’ squadrati, che è andato perso col tempo a favore di scenari più stereotipati o semplicemente grigi e compatti.
Sì, sono proprio un nostalgico bastardo. E non avete idea di cosa vi propinerò il giorno in cui riuscirò a far girare di nuovo Asghan sul PC.
La struttura della campagna è abbastanza originale, ma davvero molto semplice. Ogni volta che si finisce una missione si sblocca quella successiva, e tutte sono rigiocabili quando si vuole scegliendole sulla mappa. All’inizio si ha un solo personaggio, ma completando i vari livelli se ne sbloccano altri tra cui si può scegliere a piacere. I personaggi possono avere combinazioni di equipaggiamenti diversi e hanno caratteristiche loro particolari (più veloce, più resistente ecc.), ma nessuna di queste ultime caratteristiche viene fatta chiaramente presente, e bisogna andare per tentativi. Alla fine però ad importare veramente sono le armi che si hanno, appartenenti ad alcune categorie fisse e di cui seguono strettamente le regole.
Tutti i personaggi sono equipaggiabili spendendo oro. L’oro non è una risorsa “consumabile”, non si “comprano” i potenziamenti e li si tiene per sempre. In sostanza si ha un budget, che è tutto l’oro ottenuto fino a quel momento nel corso della campagna, e ogni personaggio ha a disposizione quel budget per le varie componenti dell’equipaggiamento. Man mano che si completano le missioni si sbloccano nuovi equipaggiamenti, che costano anche di più, quindi se si vuole essere sempre al top bisogna continuare a raccogliere oro.
L’oro si ottiene in due modi. Finire un livello la prima volta ne dona una certa quantità fissa, che viene messa da parte. In ogni livello c’è anche oro nascosto in giro, da trovare per aggiungerlo alla riserva. L’oro va a completamento, quindi se si trova tutto l’oro in un livello rigiocarlo non ne donerà dell’altro in ogni caso; se al contrario se ne lascia indietro la prima volta, ripetere la missione e trovarne di più sovrascriverà il risultato precente.
L’oro a dispozione è quindi finito, ma è abbastanza per comprare sempre praticamente il meglio di tutto. E, onestamente, spesso non è neanche difficile da trovare, basta perdere tempo scandagliando ogni buco, angolo e corridoio.
Una delle ragioni principali per cui dico che Enclave è un TPS, non un RPG, è che di fatto questo gioco è un corridoio; non proprio tutti i livelli sono fisicamente un “corridoio” videoludicamente parlando, ma credo che raramente “lineare” si sia abbinato meglio a qualcosa. La cosa interessante è che in quanto gioco-corridoio mescola elementi incredibilmente moderni ad altri terribilmente datati già per la sua epoca, per non parlare di oggi.
Dovete sapere, miei giovani amici, che quando negli anni ’90 si iniziava ad avere accesso a tecnologie 3D abbastanza stabili e permissive da produrre giochi con dei controlli umani (quelli di Resident Evil sono un ottimo esempio del contrario) scattò, in particolare su PC, l'”inerpico-mania”. Improvvisamente si avevano ambienti esplorabili in tutte le direzioni, non solo su due piani (side-view o top-view), dove era molto più facile nascondere qualcosa e creare strutture complesse.
Quindi si iniziava a spingere il giocatore ad inerpicarsi su ogni geometria, indipendentemente da cosa essa rappresentasse e se ci fosse un senso razionale per spingere a farlo. Oltre ai Platform, un intero genere basato su questo concetto ma che spesso lo gestiva in modo competente, in una quantità enorme di titoli in prima e terza persona si inserivano elementi Platform integrati alla meno peggio, anche quando i controlli li rendevano quasi ingestibili e scenari e contesti completamente fuori luogo. Oggi quasi ogni gioco in cui si controlla un unico personaggio è anche un po’ un RPG? Negli anni ’90 quasi ogni gioco in cui si controllava un singolo personaggio (e in 3D) era anche un po’ un Platform.
Il 2002 è un po’ tardi per l'”interpico-mania”, da cui ci si stava già disintossicando, ma Enclave non se la fa di sicuro mancare. Per recuperare oggetti secondari bisogna exploitare l’ambiente camminando sugli spigolini degli edifici, salire tetti a 75° di inclinazione a suon di salti obliqui e così via. Non è di per sé un “problema”, ma in un contesto serio, verosimile e tecnicamente così avanzato è un po’ ridicolo. Oggi li chiamiamo “glitch”, una volta erano “side-tracks”. Strana la vita.
Ah, prima di andare oltre: il sistema di checkpoint è pensato davvero male. Se morite prima del primo checkpoint dovete ripetere il livello, nel senso che tutti i nemici si respawneranno. Se morite dal primo checkpoint in avanti no, riapparirete lì all’infinito (alla prima difficoltà senza nessuna penalità, poi perdendo oro raccolto nel livello) ma i nemici no, creando dei picchi di frustrazione nei livelli senza checkpoint o che mettono il primo inutilmente avanti. Mi è anche capitato di venire attaccato (e ferito) mentre mi respawnavo, senza la possibilità di reagire in alcun modo fino alla fine della scenetta.
Questo per quanto riguarda il datato. La parte moderna (oltre alla grafica in sé, che per l’epoca doveva essere veramente spettacolare, animazioni incluse) è che invece moltissime missioni sono scriptate, nel senso che avvengono spesso modificazioni dell’ambiente “spettacolari” e cose simili man mano che avanzate. L’intento era chiaramente quello, già che si giocava in un corridoio, di renderlo almeno vivo artificialmente, e per l’epoca direi che ci fossero riusciti. In certi punti la cosa funziona molto bene, in altri è evidente che si volesse strafare, soprattutto quando è coinvolta anche l’IA, incapace di tenere il passo.
La scena più comica a cui devo aver assistito nel corso del gioco si è svolta più o meno così. Sono entrato da una porta, uno gnomo ingengere (o quel che era) si è messo a ridacchiare e ha salito una rampa di scale, attivando una vistosissima trappola in cima alle scale stesse, un martello oscillante pendente dal soffitto. Io ovviamente, avendo visto la trappola un secolo prima che venisse attivata, ero ancora immobile subito dopo la porta da cui ero entrato, cercando di capire cosa sarebbe successo. Finita la prima oscillazione del martello l’azione scriptata dello gnomo, che fino ad allora era rimasto immobile accanto alla leva, è terminata, al che ha ovviamente cominciato a correre verso di me per uccidermi. Venendo annichilito dal colpo di ritorno del martello gigante, che poi si è serenamente fermato, lasciandomi procedere in tutta tranquillità.
L’IA è uno dei punti deboli più evidenti del gioco. Non è “buggata”, ma è sbilanciata e vistosamente datata: i nemici sono bot da multiplayer, e giocano a volte decisamente male e a volte troppo bene per qualsiasi essere umano, il che alla lunga rende il gioco sia monotono che frustrante. Tenete anche conto che i nemici sanno saltare, e che in certi casi (c’è un dislivello o un ostacolo tra voi e loro) riterranno opportuno farlo, dando vita a situazioni ridicole e incomprensibili.
Quelli con armi da corpo a corpo vi vedono, corrono verso di voi e iniziano a cercare di colpirvi andando avanti e indietro (cosa che dovete fare anche voi) con un ritmo e uno schema terribilmente prevedibile ed evitabile; finché si affronta un avversario alla volta, venire colpiti anche solo una volta è più difficile che schivare tutto.
Quelli con armi da tiro, al contrario, sono di una precisione fuori da ogni buon senso. Le armi come archi e balestre non hanno deviazioni o anche solo cadute dei colpi mai, quindi sparare a qualcosa di molto lontano significa metterlo sul puntino della mira e fare fuoco. Come se questo da solo non bastasse a rendere abbastanza ridicola la situazione in cui qualcuno vi spara e vi colpisce con regolarità anche da un 50-100 metri buoni, i bot non hanno “tempi morti”, hanno sempre il rateo di fuoco più efficiente possibile, e una mira a volte al limite dell’impeccabilità. Sono torrette automatiche semoventi, e occasionalmente – tutto per la vostra felicità – hanno anche colpi che non si possono parare, e sparano svariate frecce alla volta.
Il terzo tipo di attacchi è quello dei maghi, che sparano colpi a distanza di varia natura, creano una barriera protettiva attorno a se stessi e possono lanciare delle onde d’urto che allontanano e feriscono tutti i nemici. I maghi sono quasi sempre gestibili (e fortunatamente parabili), tranne un simpaticissimo tipo che lancia a ripetizione colpi semi-a ricerca, imbloccabili e che provocano danno persistente e cumulativo. Se vi fate colpire un paio di volte di fila, probabilmente prima ancora di avere capito cosa vi stia sparando e da dove, siete in fin di vita. Affrontarli è un’agonia, e andando avanti iniziano ad essercene veramente troppi.
Ma l’IA e la gestione dei nemici/bot non è l’unico difetto che salta all’occhio. La hit detection ha dei problemi, che occasionalmente si fanno seri. Non fraintendetemi, il grosso del tempo si riesce a giocare abbastanza bene, ma sono state prese diverse scelte sia anti-intuitive che frustranti quando si affrontano dei bot quasi infallibili.
Primo: gli attacchi da corpo a corpo non colpiscono secondo animazione, ma secondo mirino. Esatto: state letteralmente sparando spadate a corto raggio. Davanti a voi c’è una piccola area immaginaria, quello è il punto che le vostre spadate stanno colpendo, indipendentemente da quale gesto il vostro personaggio compia (attacchi con danno “esplosivo” ad area esclusi). Vedrete spesso la vostra lama attraversare i nemici senza colpirli, perché muovendosi a destra e a sinistra costantemente escono inevitabilmente dal centro perfetto del monitor. Ci sono poi armi con una portata ridicola e molto minore del modello stesso, quindi è tutto un po’ un farci la mano e un prenderci con cosa funziona meglio. Tenete anche conto che c’è un solo tasto per l’attacco e che l’unica “combo” è premerlo a ripetizione, sperando che i vostri inevitabili spostamenti per schivare i colpi nemici non vanifichino la concatenazione degli attacchi.
Secondo: i colpi con archi e balestre seguono la stessa logica di prima, ma su due assi invece di uno e spesso con il bersagio grande un centesimo del monitor per via della distanza. Credo poi – ma è un’ipotesi non verificata – che a contare non sia la posizione del bersaglio quando il dardo effettivamente lo raggiunge, ma che al contrario il gioco controlli l’allineamento del nemico e del vostro mirino nel momento in cui scoccate, e che se nel frattempo il bersaglio si sposta il colpo grafico lo segua, o al contrario che se il bersaglio si muove dopo sulla traiettoria il dardo lo attraversi senza ferirlo. Sembra un aiuto, vero? In un certo senso lo è, ma significa anche che i nemici non possono sbagliare, e che tirando 8 o 9 frecce in una volta da un paio di metri mirando ad altezza petto potete mancare impunemente il bersaglio. Ripeto, non sono sicuro che tecnicamente la cosa funzioni proprio così, ma questa è l’idea, e non ci piove sul fatto che le armi da tiro non diano per niente la sensazione di essere armi da tiro; è come avere in mano un fucile con cui è terribilmente scomodo sparare e lungo ricaricare.
La magia… beh, quella funziona abbastanza bene tutto sommato. Ed è palesemente overpowered nelle vostre mani. Però solo molto avanti si ha abbastanza oro da equipaggiare decentemente un mago, quindi per il grosso della campagna dovrete fare senza.
So che suono veramente negativo su Enclave, e in molti non saranno d’accordo con me. Vedete, mi rendo conto che oggettivamente non è un brutto gioco, e per quando uscì aveva diverse caratteristiche innovative e interessanti. Il fatto è che, in un’ottica di retrogaming, non mi pare abbia fatto assolutamente nulla per primo, né abbia fatto nulla che non sia poi stato fatto cento volte meglio da qualche altra parte, né abbia fatto nulla con uno stile tanto unico da meritare di essere citato solo per quello.
La trama e più in generale la presentazione (al di là del condor meccanico) sono scarnissime e totalmente inutili, la struttura della partita è Doom con una selezione livelli e degli upgrade, e le missioni vanno dal corridorio in cui bisogna inerpicarsi sui cornicioni per raccogliere gemme a sequenze mini-scriptate che alla fine si riducono comunque a fare fuori qualcuno o qualcosa. Enclave non si sforza neanche in tutti questi aspetti che ho appena citato per concentrarsi completamente su grafica, spettacolarità e combattimento: i primi due sono stati erosi dal tempo (un gioco del 2002 è ancora graficamente tollerabile per gli standard di oggi; complimenti a chi l’ha creato, ma perché questo dovrebbe volermelo fare giocare?), e il terzo pure, perché per quanto gli scontri siano più che giocabili sono veramente, veramente basilari, non offronto nessun “livello di sfida” (sono o troppo facili o troppo frustranti) e alla fine si ripetono uguali all’infinito. Sì, ci sono un paio di boss-fight minimamente diverse dal combattimento normale, ma si contano sulle dita di una mano e non è che anche quelle facciano gridare al miracolo, non crediate.
Enclave era un gioco semplice ma interessante quando è uscito, che metteva una veste nuova e scintillante ad un concept un po’ vecchiotto e molto consolidato, e allora poteva avere un senso. Ma è invecchiato molto male, tutti i punti di forza si sono persi nel tempo e quelli deboli sono solo peggiorati, facendone un gioco spoglio, vuoto e in definitiva non credo particolarmente divertente. Giocarlo mi dà sensazioni contrastanti, sono a metà tra il vederci un gioco ancora più vecchio di quello che è, ma senza una vera anima o un senso al di là del combattere combattimenti non tanto esaltanti o credibili sotto nessun punto di vista, e, come ho già detto, una campagna in singolo costruita con la engine di un TPS competitivo online non sconvolgentemente riuscito, e che un multiplayer per ironia della sorte non ce l’ha proprio.
Enclave è uno strano mescolone di tante cose, alcune molto datate e altre molto moderne, ma alla fine mi pare finisca un po’ per fare la figura dell’equivalente fantasy degli anni 2000 del proverbiale “dudebro gray military shooter”; o, meglio, che l’immagine che trasmette guardandolo oggi sia un presagio di quella che essi daranno quando li si riguarderà tra una decina d’anni. Se avete un interesse storico nei suoi confronti magari dovreste darci un’occhiata, perché un titolo fotocopia di qualcos’altro non direi che lo sia, ma se volete giocarlo per puro piacere non me la sento davvero di consigliarvelo, con tutto che non è, appunto, un “brutto” gioco.