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Avvento Gameback: Braid

Benvenuti in questo speciale natalizio targato GameBack. Dal 1° al 24 dicembre, come se fosse una sorta di “calendario dell’avvento”, pubblicheremo ogni due giorni una puntata di questa piccola rubrica,  in cui ogni redattore di GameBack, a turno, parlerà del “videogioco che gli ha cambiato la vita” e ha acceso in lui la passione per l’arte videoludica.
Vi ricordiamo, inoltre, di lasciare un commento inerente all’articolo, in modo da poter partecipare al contest natalizio che stiamo organizzando sulla nostra pagina Facebook e la nostra stanza su Ludomedia (le regole del contest si trovano qui).

In questa tappa del progetto natalizio offerto da noi di Gameback, io, Schiatto, vi parlerò della mia esperienza con Braid. Un giochetto triste e depresso da 10€ dove guideremo un omino triste e depresso che grazie a poteri di controllo del tempo salverà la sua principessa, aiutato da pezzi di un puzzle che conquisterà saltando sopra a dei mostriciattoli, viva l’originalità!

Disclaimer: questo articolo contiene pesanti spoiler che potrebbero compromettere drasticamente una possibile vostra futura esperienza con il gioco.

Ora zero – Vagando nel Playstation Store

Vago nei più oscuri meandri del vecchio Playstation Store, categoria puzzle,  il market è così mal strutturato che non riesci a capire se giochi come Crash Bandicoot tra i migliori FPS sono frutto di troppe ore davanti agli schermi o delle scie chimiche, ma per tranquillizzarti, puoi sempre sperare che sia qualche forma malata di marketing. Alla fine son giapponesi alla Sony, eh.  Vedo un gioco che non avevo mai visto: Braid. “Dai su, vediamoci il trailer, giusto perché c’è”.

Boh, sembra abbastanza figo, per 10€ ci dovrebbe stare, poi anche le recensioni sembrano buone, lo prendo.

Prima ora – Domande a caldo

 

Dai, ma che cos’è? E’ la brutta copia koreana di Super Mario questa!? Prima di entrare in un mondo cosa vedo? Dei testi? Devo leggere in fottuto platform? Non potevano almeno mettere un narratore? Distribuirli nei livelli? Ed i livelli come sono distribuiti? Oh, tenetevi forte: ad inizio gioco, senza nemmeno un’introduzione di qualche tipo, vi troverete subito fuori ad una casetta, ogni stanza avrà una porta che vi potrà mandare sopra delle nuvole (???) dove sono disposti dei libri leggibili e delle altre porte che collegano ad i livelli veri e propri. Questi libri tra l’altro “narrano” una storia triste e scialba sul nostro protagonista e la sua principessa. E dico narrano quando forse è più corretto dire “dicono delle cose”, perché i testi non raccontano niente ma, nonostante ciò, incuriosiscono grazie al loro tono criptico e misterioso.

“Suvvia, non posso incominciare a lamentarmi già dall’hub di gioco.”

Ed infatti giocai qualche livello, ma la mia impressione da “WTF” non cambiò.. Era orripilante quello che vidi nei primi livelli. Partiamo dai nemici, abbiamo dei tristissimi Goomba in acquerello, Piranha Plant malnutrite, musica in violino da tagliarsi le vene e facilità a prova dell’IA di un Assassin’s Creed. Ma c’era un elemento in particolare da cui non volevo essere minimamente deluso, il controllo del tempo, che in cosa consiste alla fine? E’ semplice: se sei morto, puoi caricare fino al tornare in vita, cose serie insomma.

La risalita

Oh si, i primi livelli erano orribili, agli occhi del giocatore che ero in passato, ignaro della risvolta che prenderà il gioco, o forse è più corretto dire che prenderò io. Dovremmo quindi definire il giocatore che ero in passato, ovvero all’età di 12 anni (si, ero così critico a quell’età) . In un videogioco cercavo prima di tutto sfida, sfida e velocità, adoravo i rumori esagerati, grafica colorata ed un punteggio che mi ricordava che non avevo ancora raggiunto il mio limite, che potevo far di meglio. Quel gioco non aveva niente di tutto questo (la difficoltà ci sarà, e non poca, ma è totalmente assente nei primi livelli del gioco), anzi, il contrario, tutto lento e calmo, elegante e malinconico, il videogioco sembrava programmato su una tela.

Che speranze aveva questo gioco con me quindi?

 

 

Braid ha cambiato il mio modo di vedere il videogioco, prima era una sfida adrenalinica, diventare bravo e superare il livello, e poi riprovare a farlo più velocemente, magari senza morire. Ora, per me il videogioco può essere molto di più, può essere un esperienza di vita, un dialogo con chi il gioco l’ha fatto, un emozione, una riflessione, arte.

Questo passaggio è avvenuto lentamente durante il gioco, e me ne sono accorto grazie al suo finale, con 7 volgari parole che cambieranno non solo la mia visione riguardo i videogiochi, ma che cambieranno la mia vita.

L’ultimo livello, o forse, il primo

Giocando, e dando qualche sguardo positivo in più al gioco, arrivo all’ultimo livello, chiamato “1”. Tutto regolare, devo salvare la principessa dall’uomo cattivo. La principessa salta fuori e fugge dalle braccia dell’uomo cattivo chiedendo aiuto, corro nella sua direzione superando vari ostacoli, lei fa il possibile per aprirmi la strada, arrivo al suo “castello”, una porta ci divide, noto che il pavimento su cui si sta per posare Tim (il protagonista) è come una di quelle piattaforme viste in altri livelli, caratterizzate dal fatto di conferire a Tim il potere di rimanere immobile riavvolgendo il tempo intorno a se. Questo mi da un brutto presentimento.

Arrivo su quella piattaforma, una porta separa me dalla principessa, dopo tanta fatica siono finalmente li.

Ma il tempo si riavvolge.

Sono fuori dalla porta della casa della principessa, questa scappa da me, facendo il giro del castello Tim tenta di inseguirla, lei continua a fuggire da Tim, facendo il possibile per bloccargli la strada, arrivata al capolinea, grida “aiuto!” come aveva fatto prima, si vede un cavaliere, lei salta nelle sue braccia ed escono dal livello.

Ero io l’uomo cattivo, lo sono stato per tutto questo tempo, la principessa fuggiva da me, è come se avessi giocato il gioco al contrario.

Attraverso la parte con le nuvole come all’inizio di ogni mondo e dopo aver letto i testi e mi ritrovo al luogo di partenza, come se avessi appena iniziato il gioco, tra le confuse e particolari parole apparse al centro dello schermo mi soffermo su “now we are all sons of bitches”, era ecisamente fuori logo, eppure, sembrava avere un senso. Rimango per qualche minuto a pensarci nella schermata iniziale, ma ora capisco, capisco cos’era quel rosso sulla città, capisco chi era la principessa, capisco chi ero io, in un nanosecondo metto insieme i pezzi del puzzle prorio come nel gioco, un grande, grande brivido mi sale su per la schiena. Il fatto che Tim fosse l’antagonista non era ancora niente, c’è molto di più, deve esserci di più.

 

“Deve esserci di più

Si, otto stelle, sparse per i livelli nel modo più diabolico possibile, chiunque potrebbe aver giocato il gioco centinaia di volte senza vederne una traccia, so già a cosa servono, e le voglio subito, un silenzioso flash bianco mi appaga ogni volta che ne prendo una.

Ne ho prese 7, numero sicuramente scelto dal caso, so come prendere l’ultima, sarà facile, ora posso finire l’ultimo livello. Ora posso finire il gioco. Il livello è uguale, ma totalmente diverso, un solo cambiamento, una leva, ti permette di percorrere il tragitto molto, ma molto più velocemente, riuscendoti a farti congiungere con la principessa.

Tocco la principessa, lei, esplode, proprio come avrebbe fatto una bomba atomica.

 

“Now we are all sons of bitches”

– Kenneth Bainbridge