La cosa si sta facendo tragicamente seria

Situazione estremamente bizzarra quella di Dying Light, titolo open world a base di zombie di Techland, e decisamente non nel senso buono.

Il gioco, ufficialmente, esce oggi nella sua versione digitale; non so se sia già reperibile o se da noi bisognerà aspettare fino a sera, ma di fatto chi ha pre-ordinato la versione digitale del titolo la potrà giocare da oggi, e sempre da oggi diventerà acquistabile tanto su Steam quanto su PSN e Live.

Forse vi siete anche accorti che non c’è traccia da nessuna parte di recensioni di Dying Light. Il motivo è che i primi codici per la stampa sono stati inviati ieri, il 26 gennaio.

 

La discussione sull’importanza delle recensioni era saltata fuori già un mesetto fa, quando Assassin’s Creed: Unity era uscito praticamente in concomitanza con lo scadere dell’embargo dato ai giornalisti, quindi in alcuni paesi (Nord America) era arrivato prima il gioco agli acquirenti che le recensioni sui siti.

Se quella scelta era stata – giustamente – condannata, quello che sta succedendo ora è di svariati ordini di grandezza peggiore, e mi auguro di cuore di non finire per essere uno dei pochi isolati a farlo presente.

 

 

A inizio dicembre, interrogati su come sarebbero state gestite le recensioni, Techland aveva dato una risposta apparentemente molto permissiva, ma di per sé abbastanza strana: “No, non abbiamo nessun tipo di embargo. Vogliamo essere il più trasparenti possibile verso i nostri fan, quindi non preoccupatevi – non ci saranno embarghi per le recensioni prima che il gioco esca.”

Per chi non fosse informato, la “buona norma” per le recensioni di videogiochi è avere embarghi con un buon anticipo sull’uscita, in modo che gli utenti abbiano tutto il tempo di studiare la situazione e solo dopo il prodotto arrivi sugli scaffali. Un embargo però c’è, e non è a tutela dell’azienda: se i codici venissero inviati e poi si lasciasse completamente carta bianca su quando e come scrivere, i siti farebbero a gara solo per pubblicare prima, favorendo quelli con più personale disponibile e disincentivando i recensori a studiare per bene il titolo e fare un buon lavoro.

Mi stupisce quindi un po’ che nessuno si fosse interrogato sull’idea di non avere un embargo (a me era semplicemente sfuggita la dichiarazione, fino ad ora), ma in ogni caso ora tutto si è chiarito: non serve un embargo perché tanto i recensori hanno ricevuto le loro copie praticamente assieme al pubblico. Non so quando usciranno delle recensioni di Dying Light, ma proprio perché non c’è un embargo, per l’appunto, ora tutti saranno tentati di buttarle fuori prima degli altri, quindi anche le prime che arriveranno potrebbero avere una valenza ancora più aleatoria del solito.

 

Al contrario, stando a quanto riporta Forbes, Techland ha stretto accordi privati con alcuni gruppi e personalità di YouTube, che hanno quindi avuto modo di provare il gioco prima di tutti e anche di realizzare dei video e degli streaming su di esso.

Potrebbe sembrare più o meno la stessa cosa, ma non lo è: molte delle persone che lavorano su YouTube sono considerati più intrattenitori che giornalisti, e da ben pochi di essi gli utenti si aspettano la stessa etica professionale di un giornale. Molti YouTuber sono, di fatto, più fonti di pubblicità per i produttori dei giochi che critici con l’intento di consigliare i consumatori.

Quindi, inviare copie in anteprima di un gioco a dei canali scelti dall’azienza stessa, e che hanno firmato non sappiamo cosa per riceverle, non è DECISAMENTE come avere delle recensioni su dei giornali, da cui si pretende oggettività e che di conseguenza si suppone ricevano una copia del titolo dall’azienda semplicemente nel nome della trasparenza.

 

 

Queste scelte, parallelamente all’idea di separare il lancio digitale da quello fisico di Dying Light, crea uno scenario totalmente inedito nella gestione della pubblicazione di un grosso titolo, e non uno che mi trova molto convinto. C’è confusione, c’è poca copertura, ma soprattutto ci sono decine di migliaia di utenti che si trovano con un gioco nella loro libreria digitale – impossibile da rivendere e improbabile da farsi rimborsare – senza che nessuna personalità davvero indipendente dall’azienda che lo ha prodotto abbia avuto il tempo materiale di guardarlo.

Da quello che sto leggendo in giro Dying Light non sembrerebbe soffrire per particolari problemi, ma in ogni caso la questione è di principio: per quello che il giudizio della stampa di settore può e deve valere (e sì, in questo discorso ovviamente finisco per rientrare anche io), si sta spingendo sempre di più verso sistemi e modelli di pensiero in cui prima di tutto i consumatori ci mettono i soldi, e poi arrivano i prodotti e i giudizi indipendenti.

Questo è intrinsecamente sconveniente tanto per l’acquirente quanto per la qualità dei giochi, e se con questo caso si venisse a creare un precedente si aprirebbe un’autostrada a tutta una serie di truffe e catastrofi che la cultura dei pre-ordini indubbiamente favorisce, ma che per adesso sono rimaste relegate al mondo dell’Early Access (che è appunto caratterizzato da poco controllo giornalistico e acquisti basati più che altro su speranze e sensazioni).

 

Parlando molto francamente, se siamo arrivati a questo punto la colpa è principalmente dei giornali stessi. Praticamente nessuno sembra disposto a battere il pugno sul tavolo e a rispondere “no” ad una proposta palesemente eticamente sbagliata; anzi, in quanto a corruzione e trasparenza alcuni dei più grandi hanno dimostrato, soprattutto nello scorso anno, di avere per primi parecchio da spiegare.

E questo succede perché quasi nessuno controlla chi dovrebbe controllare, ovvero pochi utenti sono a loro volta disposti a battere il pugno sul tavolo, e gli ultimi che in qualche modo sono finiti per farlo in massa (#GamerGate) sono stati marchiati a fuoco e buttati fuori dalla porta senza troppi complimenti.

 

Eliminare ogni forma di controllo indipendente ed educare la gente ad acquistare prodotti a scatola chiusa sull’onda delle emozioni è l’ULTIMA cosa che da acquirenti (e da videogiocatori) ci si dovrebbe augurare. Ma, proprio in quanto tale, è per definizione quello a cui i produttori cercano e cercheranno di arrivare con ogni mezzo.

State, stiamo, molto attenti.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

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